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Mercoledì 03 Luglio 2024
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NOMADLAND
Drammatico
di Chloé Zhao
con Frances McDormand, David Strathairn, Linda May, Charlene Swankie, Derrick Janis
108 minuti - USA 2020

Iniziamo questa recensione di Nomadland con una forse fin troppo facile previsione: il nuovo bellissimo film di Chloe Zhao sicuramente avrà un ruolo da protagonista tanto nei palmares di Venezia e Toronto, quanto alla prossima edizione degli Oscar. La regista cinese, americana d'adozione, è già da qualche anno tra le più promettenti in assoluto nel panorama indie USA - e già prontissima ad approdare al cinema blockbuster con Eterni, uno dei prossimi progetti Marvel - ma questo film potrebbe davvero rappresentare una prima grande consacrazione anche a livello internazionale, in quanto perfetta evoluzione di quanto già fatto in precedenza, ma anche un primo sguardo verso un futuro che, professionalmente parlando, appare sempre più roseo e aperto ad ogni tipo di sperimentazione. Esattamente come già accadeva nell'altrettanto splendido The Rider, anche Nomadland mescola realtà e finzione, utilizzando storie e personaggi reali (come gran parte dei veri nomadi e comunità che incontriamo nel film) per raccontare la fine del sogno americano. O meglio, nel caso di questo nuovo film, una nuova e inaspettata evoluzione dell'American Dream, che sembra quasi riportarci indietro di oltre un secolo, e trasforma quello che a molti potrebbe sembrare un semplice gruppo di senzatetto o disperati, in "nuovi pionieri", alla ricerca di una felicità e di una realizzazione personale che differisce da quello che la società sembra volerci inculcare fin dalla nascita. In mezzo a questi personaggi reali c'è anche la nostra protagonista, Fern, una vedova splendidamente interpretata da Frances McDormand che procede sola per la sua strada, senza cercare alcun aiuto, e costantemente stupita e colpita tanto dal calore e dalla bontà della gente che incontra in questo viaggio on the road che dalle bellezze naturali che la circondano. Anche Fern, come molti degli altri personaggi che incontriamo durante il film, è stata costretta a lasciare la sua casa e il suo lavoro e a intraprendere una vita che probabilmente non si aspettava. A differenza però del libro omonimo da cui la Zhao ha preso spunto per la sua sceneggiatura, questo Nomadland non vuole essere una critica esplicita all'America. Né tanto meno alla politica economica che, a cavallo della crisi del 2008, ha costretto milioni di famiglie ad abbandonare le loro case e a molte persone di vivere sulla strada ed essere sfruttati da grandi corporazioni che vedono in questi lavoratori "stagionali" delle vere e proprie miniere d'oro. Il film sceglie una strada diversa, una visione ben più poetica e romantica (alcuni diranno forse naïf) di quella che va comunque considerata una vera e propria tragedia sociale: celebra la libertà, lo spirito di avventura e di sopravvivenza, e lancia un messaggio carico di ottimismo, perché quando si è a contatto con la natura e con sé stessi, lontani da una società ormai sempre più avvelenata dal profitto, la solidarietà non appare più come un miraggio. Nel film di Chloe Zhao umanità e natura convivono in modo assolutamente naturale, dando luogo ad una bellezza e una sensazione di pace che non si possono descrivere a parole. Anche per questo motivo la regista fa sì che siano le belle musiche di Ludovico Einaudi ad accompagnare in modo costante le splendide immagini di deserti sconfinati, di natura selvaggia e brulla, mai spaventosa. Questa ricerca estetica così sofisticata e sublime - che pare abbia addirittura ricevuto, durante la lavorazione, la benedizione nonché alcuni consigli da un maestro quale Terrence Malick - si unisce ad una sceneggiatura tanto essenziale quanto efficace nel far risuonare con forza i suoi temi e i suoi messaggi, soprattutto nel finale, quando vengono "svelate" le motivazioni della protagonista: la sua atipica scelta di vita non è egoista né tanto meno un atto di ribellione (come invece potrebbe sembrare anche da una apparente e superficiale vicinanza tematica con Into the Wild), ma una naturale conseguenza di decenni vissuti a sognare la libertà attraverso una finestra, intenta a dedicare la propria vita a qualcun altro e non a se stessi. In una delle frasi più significative del film, una McDormand più dolce che mai dice: "I'm not homeless, I am houseless" (in italiano si potrebbe tradurre come "sono senzatetto, ma non senza casa"). Ed è esattamente quello che vediamo nel suo sguardo in ogni singolo fotogramma del film, perché assolutamente in pace con sé stessa, anche nei momenti di maggiore difficoltà. Il personaggio di Fern, così come gli altri (reali) presenti nel film, sono nomadi anche e soprattutto per scelta, non perché scappano da qualcuno o qualcosa, ma proprio perché in realtà hanno trovato loro stessi. Nonostante le apparenze o le similitudini, non sono novelli protagonisti di un romanzo di Steinbeck, non hanno alcun "furore" nei loro occhi: hanno accettato il loro destino, l'hanno fatto proprio, e hanno scelto di tirarne fuori il meglio, senza combatterlo mai. Anche perché sulla strada nessun addio è mai definitivo. Sulla strada davvero la speranza è l'ultima a morire.
Luca Liguori (Movieplayer.it)
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