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L'UFFICIALE E LA SPIA
Drammatico
di Roman Polanski
con Jean Dujardin, Louis Garrel, Emmanuelle Seigner, Grégory Gadebois, Hervé Pierre
126 minuti - USA 2019

È un progetto che risale ad almeno sette anni fa quello coltivato da Roman Polanski, rimandato più e più volte e portato infine a compimento, fino ad approdare in concorso alla Mostra di Venezia 2019. Con la recensione de L'ufficiale e la spia, titolo internazionale di J'accuse, ci troveremo pertanto ad analizzare un film in cui Polanski, cimentandosi con il genere del dramma storico, recupera alcuni fra i temi principali del proprio cinema, a partire dal conflitto fra gli ideali di un singolo individuo e l'oscuro sistema di potere da cui è sovrastato. Si tratta di un meccanismo che, nel corso della sua carriera, il regista polacco ha declinato in chiave soprannaturale (Rosemary's Baby), poliziesca (Chinatown), storica (Il pianista) e politica (La morte e la fanciulla, L'uomo nell'ombra); nella maggior parte dei casi essenzialmente come veicolo di suspense, mentre ne L'ufficiale e la spia il registro adottato da Polanski è quanto più possibile asciutto e rigoroso, senza mai premere troppo sul pedale dell'enfasi, ma lasciando che a parlare siano gli eventi nella loro cruda verità. Gli eventi, per la precisione, sono quelli legati a uno degli episodi più controversi nella storia giudiziaria francese ed europea: il cosiddetto affare Dreyfus, lo scandalo che fra il 1894 e il 1895 colpì l'ufficiale Alfred Dreyfus, accusato e in seguito condannato di alto tradimento, ma sulla base di prove estremamente labili. Nel film la caduta in disgrazia di Dreyfus, interpretato da Louis Garrel, è illustrata attraverso una serie di flashback e rievocata da uno dei suoi superiori, il colonnello Georges Picquart, impersonato da Jean Dujardin: sarà lui, dopo aver assistito alla tormentata vicenda di Dreyfus, a mettere in dubbio la veridicità delle accuse, colto dal sospetto che nell'esercito francese sia ancora presente un traditore. Nella sceneggiatura, scritta da Roman Polanski insieme a Robert Harris e modellata sul romanzo omonimo pubblicato da Harris nel 2013, è Georges Picquart il vero protagonista: l'ufficiale integerrimo che, a dispetto dei suoi pregiudizi antisemiti e dell'esito del precedente processo, decide di condurre un'indagine per stabilire la verità e riabilitare la reputazione di Dreyfus. L'opera, dunque, assume da subito la struttura della detection e dell'intrigo spionistico, ma la lucidità dello sguardo di Polanski mantiene sempre il racconto sui binari di un realismo quasi cronachistico. Attorniato da altri volti noti del cinema francese quali Emmanuelle Seigner, Melvil Poupaud e, in un piccolo ruolo, Mathieu Amalric, Jean Dujardin incarna la solennità, la gravitas e il profondo senso di dignità del colonnello Picquart, determinato a far valere i principi della giustizia e dell'onore sui compromessi dettati dalla ragion di Stato. È la contrapposizione al centro del film di Roman Polanski: un film sull'arroganza del potere, sulla scelta del 'diverso' come perfetto capro espiatorio (l'affare Dreyfus costituì un'agghiacciante cartina di tornasole dell'antisemitismo in Francia) e sul valore - e il prezzo - della coerenza, in cui le derive autoritaristiche dell'Europa di fine Ottocento diventano lo specchio in cui rintracciare frammenti della nostra contemporaneità.
Stefano Lo Verme (Movieplayer.it)
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