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THE IRISHMAN
Drammatico
di Martin Scorsese
con Robert De Niro, Al Pacino, Joe Pesci, Harvey Keitel, Ray Romano
209 minuti - USA 2019

Non possiamo che cominciare questa recensione di The Irishman mettendo in chiaro subito una cosa: le polemiche degli ultimi mesi su cosa sia cinema o meno, cinecomic o film d'autore, Netflix o sale, lasciano il tempo che trovano, soprattutto quando poi davanti ci si ritrova dei grandissimi film. Il primo a saperlo è proprio Martin Scorsese, per chi scrive semplicemente uno dei più grandi registi viventi, che con questo The Irishman regala, non solo al suo pubblico cinefilo ma a tutta la vastissima e eterogenea platea del mondo dello streaming, un altro grande capolavoro. Ma anche un vero e proprio film testamento non tanto della sua carriera (che, ci auguriamo, possa essere ancora lunga e ricca di soddisfazioni) ma di un genere, quello del gangster movie, che ha fatto grande Hollywood attraverso i decenni. Partiamo da questa storia che Martin Scorsese vuole raccontarci ormai da tanto tempo: l'irlandese del titolo è Frank Sheeran, un ex trasportatore e veterano della seconda guerra mondiale che diventa un sicario al soldo della Mafia italoamericana. O, come dice lui, cambia lavoro e comincia "a dipingere le case", col sangue ovviamente. A capo della famiglia criminale che lo protegge c'è Russell Bufalino, che diventerà quasi un padre per lui e che lo metterà in contatto con il celebre leader sindacalista Jimmy Hoffa, preso di mira da Robert Kennedy per il suo coinvolgimento con la Mafia e i prestiti garantiti loro per la costruzione di Las Vegas. Raccontato così, il film sembrerebbe un nuovo capitolo di una saga criminale già raccontata in Quei bravi ragazzi e Casinò, e in effetti va detto che nella sua prima parte questo The Irishman sembrerebbe essere "solo" un nuovo grande classico film alla Scorsese, in cui si susseguono incontri e intrecci criminali di ogni tipo, con esecuzioni, tradimenti e processi. Il tutto girato come sempre con lo stile unico, elegante eppure brutale, del Maestro newyorchese. È nella seconda parte che il film cambia passo, preferendo concentrarsi non tanto sulle azioni criminali compiute dai protagonisti, ma sulle conseguenze delle stesse all'interno della (doppia) famiglia di Frank, quella composta da moglie e figlie, che lui cerca di proteggere e schermare da ogni orrore, e quella dei capi e alleati che cerca di servire al meglio, senza mai ribellarsi o discutere nessun ordine. Anche il più difficile e straziante. Parlare di The Irishman, soprattutto del suo significato, senza parlare del suo incredibile cast non avrebbe senso: è cosa nota che Scorsese abbia voluto far interpretare questo film ai suoi attori di fiducia, anzi i "suoi amici" come ha amato definirli, e nessun altro. Per fare questo, considerato che la storia si dirama attraverso più decenni, ha dovuto cedere alla tecnologia e chiedere alla Industrial Light & Magic di sperimentare un processo di ringiovanimento così avanzato e ambizioso come mai prima d'ora si era visto per un film di questo tipo: i tre fantastici protagonisti - Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci - non hanno quindi un attore più giovane che dà loro il cambio nei flashback, ma semplicemente sono stati ringiovaniti digitalmente. Il risultato di questa tecnica, dal punto di vista meramente visivo, è variabile: in alcuni casi funziona piuttosto bene, in altri meno; ma il punto è che dopo un primo impatto iniziale tutto questo davvero non ha più importanza, perché quello che realmente conta è che questo "capriccio" da 150 milioni di dollari (e permesso solo dal "mecenatismo" di Netflix) ci regala l'opportunità più unica che rara di vedere sullo schermo, contemporaneamente, questi tre mostri sacri. Che stiamo parlando di tre attori giganteschi non ve lo dobbiamo certo ricordare noi. Quello che vi possiamo dire, però, è che, come sempre, Scorsese ha ragione: al netto di tre ottime interpretazioni complessive, è indubbio che le scene in cui duettano De Niro-Pacino o De Niro-Pesci o Pesci-Pacino sono di quelle che rimangono per sempre scolpite nella memoria e nel cuore. Per la loro innata bravura, per il significato di queste scelte di casting ma anche e soprattutto per come questi tre attori riescano a trasformarsi e ad esprimere l'avvenuto cambiamento, e invecchiamento, dei loro personaggi. Che poi, ecco il colpo di genio, rispecchia esattamente quello dei loro interpreti. E quindi abbiamo un Al Pacino che da combattivo e insolente nella prima parte diventa pian piano più dimesso e dolente nel finale, o un Joe Pesci insolitamente pacato, pacifico e paterno, in perfetto contrasto con l'attore "larger than life" che abbiamo sempre conosciuto. E tutto questo sempre sotto (e attraverso) lo sguardo di un Robert De Niro misuratissimo e senile, che sembra rappresentare lo stesso Scorsese che vede scomparire, sgretolarsi o anche semplicemente "rimpicciolirsi" il mondo in cui ha sempre vissuto così come gli amici di sempre. Chi dice quindi che con questo nuovo film Martin Scorsese abbia voluto raccontare il crepuscolo dei gangster americani vecchio stampo certamente non si sbaglia, ma è impossibile non pensare che il vero motivo per cui proprio oggi abbia voluto fare questo film con questo cast sia soprattutto un altro: The Irishman non sarà magari l'ultimo film della sua carriera, ma è certamente un testamento di un modo di fare cinema che l'ha segnato, l'ha reso celebre e riconoscibile in tutto il mondo. Ha senso quindi anche il passaggio a Netflix, anche da parte di un regista che ha sempre difeso non solo la sala ma anche la pellicola. Non è rassegnazione ma accettazione: come dice un Frank ormai anziano "Non ti rendi conto di quanto scorre veloce il tempo, finché non ci arrivi". Anche Scorsese è arrivato nella parte finale del suo straordinario viaggio e siamo certi che così come i bei ricordi anche i rimpianti saranno tanti: è umano porsi delle domande, è umano non ritrovarsi più in un modo che è andato così tanto avanti da non riconoscerlo più, è umano, eventualmente, anche chiedersi cosa rimarrà di quello che uno ha fatto della propria vita. Quando il personaggio di Frank incontra una giovane infermiera che non ha idea di chi fosse Jimmy Hoffa, non se la prende, ma accetta questa realtà. Al massimo si rende conto che anche il suo (losco) operato ha portato a questa dimenticanza. Magari vorrebbe anche porre rimedio ma si accorge che è troppo tardi. Scorsese avrà magari fatto gli stessi ragionamenti e ha capito che per lui c'era ancora modo di porre rimedio, di riprendere in mano il suo film dei sogni e trovare un'altra strada. Non è il cinema che lui ricorda, magari con nostalgia, ma non è ancora nemmeno il momento di arrendersi alla malinconia. E non è un caso che con uno splendido, emozionante finale - che sembra quasi richiamare, all'opposto, quello de Il padrino dell'amico e compagno Francis Ford Coppola - non chiude nulla della sua storia, nemmeno la porta. Lasciata volutamente socchiusa. Perché per quanto si possa essere malinconici e nostalgici, una speranza, seppure fievole, è giusto che rimanga sempre.
Luca Liguori (Movieplayer.it)
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