Drammatico di Hanna Antonina Wojcik-Slak con Leon Lucev, Marina Redzepovic, Zala Djuric Ribic, Boris Cavazza, Maj Klemenc 100 minuti - Slovenia, Bosnia-Herzegovina 2017
Il pulviscolo aleggia sullo schermo sospeso nel buio pesto della prima inquadratura, poi l'immagine cede il passo allo spazio della memoria: il tempo di un flashback lungo qualche minuto, un ricordo dai tratti distinti che come un fantasma tornerà ripetutamente nel corso dell'intero film. Non è un caso che la recensione de Il segreto della miniera, film che arriverà in sala dal 31 ottobre, parta proprio da quell'incipit capace di annunciare in una manciata di istanti il doppio binario della narrazione: da un lato la dimensione più simbolica, dall'altro quella più realistica.
Due anime che la regista slovena Hanna Slak fa convivere in un'opera sull'oblio e la ricerca della verità a partire da un fatto realmente accaduto. Dentro ci finiscono alcuni aspetti poco noti del conflitto dei Balcani e un episodio oscuro risalente alla Seconda Guerra Mondiale; li lega un invisibile filo rosso che la regia segue combinando le istanze sociali del dramma impegnato con gli elementi del cinema di genere.
Mistero e Storia in una trama da thriller
Alla base de Il segreto della miniera c'è la storia vera di Mehmedalija Alic, un minatore di origine bosniaca, sopravvissuto alla strage di Sebrenica del 1995 dopo essere riuscito a fuggire in Slovenia, quando aveva appena quattordici anni. I suoi familiari muoiono tutti, vittime della pulizia etnica messa in atto dai serbi, e di loro non ha più notizie, non ricevendo indietro nemmeno i corpi. In Slovenia si ricostruisce poi una vita e una famiglia, poi la Storia lo mette nuovamenta davanti ai fantasmi del passato: nel 2007 infatti viene inviato all'interno di una miniera sigillata per verificarne il contenuto prima di chiuderla definitivamente. Dopo due anni di lavoro passati a rompere barriere di mattoni e rocce rischiando la vita più volte, Alic scopre un segreto che per oltre cinquant'anni era rimasto sepolto con la complicità delle autorità: la tomba di 4000 profughi di guerra uccisi alla fine della Seconda Guerra Mondiale e sigillati dagli uomini di Tito dopo la vittoria contro i nazi-fascisti. Dopo la scoperta di quel pozzo dell'orrore, che sconvolse l'opinione pubblica, Alic subisce minacce e intimidazioni di ogni tipo, perde il lavoro, viene privato della pensione ed è costretto a una vita ai margini. La sua colpa? Chiedere che i resti vengano identificati e che le vittime possano finalmente ricevere una degna sepoltura. I suoi appelli rimangono però inascoltati e in quell'ossario restano dei corpi senza un nome.
Il film ripercorre la vicenda di Alic sulla base della sua autobiografia, "No One", uscita nel 2013 e scritta con l'aiuto di Hanna Slak, che aveva conosciuto quell'episodio attraverso un articolo del 2010. Il merito della Slak è di essere rimasta lontana da qualsiasi velleità documentaristica, non c'è esigenza di ricostruzione storica bensì l'urgenza di una riflessione sulla dimensione profondamente umana dei fatti. Questo permette alla regista di usare molti elementi simbolici e di frequentare il genere del thriller, girando la maggior parte delle scene nelle viscere della miniera, spesso con camera a mano e la sola luce naturale delle torce da elmetto dei minatori. Ne deriva un forte senso di mistero con visioni che arrivano direttamente dall'infanzia del protagonista e che aggiungono al presente e al passato (quello dei profughi uccisi e sigillati sotto al tunnel) un terzo tempo: quello fatto dei ricordi di Alic, che in un ideale ciclo di corsi e ricorsi storici, apre una finestra su un altro lato oscuro della Storia più recente, la pulizia etnica dei bosniaci.
Hanna Slak lo descrive come un film archetipico che pesca nel mito, prende in prestito alcuni ingredienti dell'epopea dell'eroe solitario e finisce nel dramma del cinema d'impegno. Ma è soprattutto un film sulla responsabilità collettiva, sulla memoria dolorosa e gli invisibili, con inevitabili rimandi alla contemporaneità. Lo definiscono le atmosfere gelide, gli ambienti grigi e la performance molto fisica di Leon Lucev, l'attore croato che interpreta il personaggio di Mehmedalija Alic, credibile dall'inizio alla fine anche per la straordinaria somiglianza fisica con il reale protagonista. Lo vediamo strisciare nel tunnel, scavare, rompere la roccia a martellate, farsi strada in cunicoli strettissimi guidato da un incrollabile desiderio di giustizia. La ricerca della verità passa dal corpo: non solo da quello stremato e impolverato di Alic, ma anche dai corpi straziati e senza un nome delle vittime, che giacciono in fondo alla miniera. In attesa di vedere la luce.
Elisabetta Bartucca (Movieplayer.it)
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