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THE SQUARE
Commedia drammatica
di Ruben Östlund
con Claes Bang, Elisabeth Moss, Dominic West, Terry Notary
145 minuti - Svezia, Danimarca 2017

Il regista svedese Ruben Östlund torna a Cannes a tre anni di distanza dalla rivelazione Forza Maggiore con cui vinse il premio della Giuria di Un Certain Regard e conquistò una nomination ai Golden Globes per il miglior film straniero. Stavolta il suo The Square concorre per la Palma d'Oro e non è difficile immaginare che questo suo nuovo film possa in qualche modo conquistare il favore della giuria internazionale guida da Pedro Almodóvar. Magari non il premio principale, ma di certo né la regia né la sceneggiatura di quest'opera, imperfetta anche se di grande impatto, lasciano indifferenti, ma anzi finiscono spesso con l'impressionare il pubblico in sala proprio come alcune performance artistiche spesso provocatorie che il film racconta. Al centro del film troviamo infatti Christian (interpretato da un convincente Claes Bang), curatore di un museo d'arte contemporanea costantemente alla ricerca di nuove opere che possano catturare l'attenzione del pubblico e di potenziali ricchi donatori e al tempo stesso scuotere le coscienze dei visitatori su temi importanti come la solidarietà e il senso di comunità. In questa direzione va la nuova installazione (il quadrato che da il titolo al film) che è in procinto di lanciare grazie ad una agenzia di comunicazione che propone una campagna shock e virale. Andando al lavoro si imbatte in una ragazza che, in mezzo ad una piazza gremita di gente, sta scappando da un assalitore e chiede aiuto a chiunque incontri: Christian dapprima titubante e spaventato si unisce ad un perfetto sconosciuto in questo gesto coraggioso e altruista ed è incredibilmente fiero di sé per l'assistenza appena accordata alla giovane donna. Peccato che poco dopo si ritrovi derubato non solo del portafoglio e cellulare ma anche di tutte le certezze che sembrava avere. Nel seguire questa vera e propria crisi del protagonista, Östlund ci porta attraverso una serie di "vignette", a tratti divertentissime ed irresistibili, che non possono che ricordare il cinema del compatriota Roy Andersson (in particolare il Leone d'oro del 2014, Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza). E se è vero che l'ingente durata del film (2 ore e 22 minuti) non aiuta e che la forza satirica della prima parte del film si perde un po' nel finale, è lecito immaginare che alcune trovate particolarmente sagaci e potenti, figlie anche di una messa in scena impeccabile, rimarranno a lungo con la spettatore e non solo per le sincere risate che riescono spesso a suscitare, ma soprattutto per la sensazione di disagio e fastidio che ne consegue. Il protagonista Christian è bello, ricco, simpatico e amato da tutti, amici e colleghi. Parla spesso di solidarietà ed integrazione e sogna un'arte che possa essere a disposizione di tutti e non solo dei ricchi. Ma dietro ogni suo bel discorso, dietro ogni suo comportamento, si cela in realtà il senso di colpa, una sensazione di distacco dalla realtà, che rende la sua vita finta e vuota. Fondamentalmente poco interessante per chiunque viva lontano dal suo mondo tanto perfetto quanto artefatto. A partire dal furto di cui è vittima, Christian è costretto ad affrontare la realtà quotidiana e il suo vero io. E ad accettare le conseguenze di ogni sua azione, anche la più insignificante. Ma quanto è più facile invece continuare a vivere nell'ipocrisia? Continuare ad ignorare i mendicanti, ridere dei malati di Tourette, fingere di capire ed apprezzare opere di cui non sappiamo spiegarci il senso? Quanto è più facile vivere costantemente a testa bassa, anche quando - come in una delle scene più potenti ed iconiche del film - un uomo (l'attore di motion capture Terry Notary, noto per il lavoro "sporco" nei vari Avatar o Il pianeta delle scimmie) si finge un pericoloso gorilla che invade una cena di gala e minaccia fisicamente tutti gli invitati? Östlund non sembra essere molto ottimista sulla natura umana, quantomeno su quella dei suoi connazionali svedesi, incapaci di reagire, incapaci di distinguere il vuoto che hanno davanti e di accettare la realtà che li circonda. Non è un caso che gli unici due personaggi di rottura siano due stranieri, una giornalista americana interpretata da Elisabeth Moss (a cui spettano almeno un paio di scene di culto) e l'artista e intellettuale straniero portato in scena da Dominic West. Entrambi, forse non a caso, noti ed amatissimi attori del piccolo schermo USA: è forse nelle serie - ancor più del cinema e certamente molto di più che nell'arte contemporanea - che il regista svedese vede una maggiore aderenza con la realtà di oggi? Non è questa l'opera che ci saprà dare una risposta definitiva a questa domanda, ma di certo è una delle tante provocazioni di The Square che colpiscono nel segno: il cinema d'autore di oggi è poi tanto diverso dalle opere d'arte che tutti noi (o quasi) non riusciamo a prendere sul serio?
Luca Liguori (Movieplayer.it)
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