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I FANTASMI D'ISMAEL
Drammatico
di Arnaud Desplechin
con Mathieu Amalric, Marion Cotillard, Charlotte Gainsbourg, Louis Garrel, Alba Rohrwacher
110 minuti - Francia 2017

Il suggerimento del viaggio, il viaggio per antonomasia, era al centro del romanzo più ambizioso e rivoluzionario del Novecento; nel viaggio dell'intelletto e del cuore, non sempre una tappa succede l'altra in maniera prevedibile. Chiamare in causa l'Ulisse di James Joyce, pioniere del modernismo e maestro del correlativo oggettivo, ovvero dell'uso del mito e del passato per interpretare il presente, è una scelta scopertamente ambiziosa e rivelatrice per Arnaud Desplechin. Il regista e sceneggiatore francese, infatti, rinuncia alla semplicità espositiva delle sue opere precedenti e affianca ai temi che da sempre gli sono cari, i sentimenti e il passato a cui non si può sfuggire, una pletora di riferimenti alti, enigmatici e inefficientemente esplorati. L'Ismael di Mathieu Amalric è evidentemente un doppio del regista, ma come con l'Ismaele di Hermann Melville non dobbiamo confondere il narratore con lo scrittore. Questo Ismael è un viaggiatore che resta immobile mentre il passato lo viene a cercare, un "casalingo", come si definisce lui stesso. A viaggiare è il protagonista del suo ultimo film, che forse è un ritratto di suo fratello e forse è tutt'altro, in ogni caso il suo nome è Ivan Dedalus (Stephen Dedalus era, a sua volta, l'alter ego Joyciano). Il mentore di Ismael si chiama ovviamente Bloom, e come Leopold è un uomo dolce, affezionato e tradito; e lei, la bellissima Carlotta, è a un tempo Molly e Rudy, moglie fedifraga e figlia perduta. Sin dalle primissime battute Ismael's Ghosts rivela le proprie ambizioni di riflessione sul mestiere del narratore, e imbastisce una narrazione articolata su più linee: il presente in cui Ismael rifugge i suoi impegni sparendo dal set del film a cui sta lavorando, i giorni di due anni prima in cui nasceva l'amore con la sua attuale compagna Sylvia, e il film su Dedalus (un gustoso Louis Garrel), che si compone e si disfa nella mente del suo creatore e di fronte a noi, senza riuscire a dare compimento al proprio ruolo nell'opera di Desplechin. Su tutto e su tutti aleggia Carlotta, un personaggio che resta inafferrabile e inespresso, che tuttavia la magica presenza scenica di Marion Cotillard riesce a rendere magnetico e letale nella sua ineffabilità. Appare come un fantasma, la donna svanita nel nulla da più di vent'anni che ha lasciato soli un marito devoto e un padre anziano e vulnerabile per rincorrere una vita che non sapeva vivere, ma è la concreta personificazione di tutti i conti che lasciamo in sospeso, delle cose con cui impariamo a convivere solo portando una maschera un giorno dopo l'altro. La sposa fantasma non è l'unica donna affascinante nella vita di Ismael: dopo tante giovani attrici e storie trascurabili, è arrivata l'astrofisica Sylvia, una salvatrice timida e pudica che osserva Carlotta con affettuosa curiosità e attenzione. Il meglio di sé il film lo dà quando Charlotte Gainsbourg e Marion Cotillard condividono la scena: due attrici e donne diverse, due sensibilità attoriali antitetiche, e un'intesa formidabile e produttiva. Se Carlotta è un'insoddisfatta Molly Bloom che balla invece di cantare, Sylvia è una saggia Penelope che alla fine del film prende la parola, anche se purtroppo non per narrare la sua vicenda personale - e dire che il suo rapporto col fratello è un minuscolo tassello che cattura la luce nel complesso e caotico mosaico di Desplechin - come quella di Margaret Atwood, ma per raccontare la guarigione del suo eroe. Funzionerebbe bene dunque questo triangolo sensuale e insidioso, ben commentato dalla colonna sonora hitchockiana di Grégoire Hetzel, ma purtroppo Mathieu Almaric fatica molto di più rispetto alle sue comprimarie a mantenere il controllo del materiale che gli consegna Desplechin: fatica a restituire a noi quella che alla fine dei giochi è una verità piuttosto banale, la storia di un uomo che deve riconciliarsi col suo passato per dare inizio al proprio futuro. Le sue esuberanze fisiche a volte involontariamente (?) comiche appesantiscono soprattutto l'ultima parte del film, dove le idee si affollano in un pericoloso canto di Sirene. Dispiace quasi dare un giudizio negativo di un film che vanta tanti elementi di pregio, ma la verità è che Les fantomes d'Ismael è un film più piacevole da decifrare che da guardare, e manca della lucidità e dell'integrità che avrebbe potuto farne, se non un'opera originale ed autenticamente emozionante, almeno un'affascinante e suggestiva esplorazione metafilmica e letteraria.
Alessia Starace (Movieplayer.it)
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