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IL FILO NASCOSTO
Drammatico
di Paul Thomas Anderson
con Daniel Day-Lewis, Vicky Krieps, Lesley Manville, Sue Clark, Joan Brown
130 minuti - USA 2017

A poco più di due anni di distanza dal documentario Junun, divertissement invisibile al grande pubblico in cui si mostrava lo sviluppo dell'omonimo progetto musicale indiano di Jonny Greenwood e del compositore israeliano Shye Ben Tzur, Paul Thomas Anderson con Il filo nascosto è tornato in maniera imponente e affascinante alla caratteristica densità estetica e culturale del proprio cinema. E lo ha fatto colpendo per l'ennesima volta nel segno, dimostrando ulteriormente di essere il più eclettico e raffinato tra i cineasti della generazione emersa a partire dagli anni Novanta. Lo straordinario ottavo lungometraggio del quarantasettenne cineasta originario della San Fernando Valley è una gioia per gli occhi dello spettatore, un lavoro magistrale dal punto di vista visivo come ormai sempre più di rado capita di vedere sul grande schermo: ogni singola inquadratura, infatti, è una piccola opera d'arte, un vero e proprio capolavoro di finezza formale. Il filo nascosto è però al contempo un film prezioso e necessario anche per l'audacia con cui ci ricorda come sia ancora possibile oggi, nel contesto di un'industria hollywoodiana sempre più tesa alla standardizzazione, realizzare opere sfaccettate, profonde e libere, fieramente slegate dalle imperanti logiche di mercato. Se l'ultimo lungometraggio di finzione Vizio di forma, tratto dal romanzo di Thomas Pynchon, era un onirico e variopinto affresco corale intriso di malinconia che rifletteva sulla fine della cultura hippie statunitense degli anni Sessanta, Il filo nascosto ruota essenzialmente attorno a due personaggi: il maturo Reynolds Woodcock e la giovane Alma, protagonisti di un amore tanto intenso quanto conturbante, dolente e problematico. Era dal lontano 2002 che Anderson non concentrava una sua opera in maniera pressoché esclusiva su una relazione di coppia. Ubriaco d'amore è ancora oggi una delle love story cinematografiche più originali e inventive prodotte negli anni Duemila, giustamente definita da un regista del livello di Francis Ford Coppola come "un film assolutamente unico, un'autentica opera d'arte". Ne Il filo nascosto, però, l'approccio al sentimento amoroso è molto differente. Il geniale, meticoloso e patologicamente ossessivo stilista Reynolds Woodcock, portato in scena in maniera eccelsa da Daniel Day-Lewis, è un personaggio agli antipodi del Barry Egan interpretato da Adam Sandler: se quest'ultimo grazie all'innamoramento riusciva ad affrontare e superare con insospettabile slancio le proprie molteplici idiosincrasie, il protagonista de Il filo nascosto, nonostante in parte lo desideri, appare impossibilitato a uscire fuori dalla propria vita maniacalmente scandita da una routine rigida e soffocante, completamente votata alla creatività artistica. A sedici anni dalla surreale e bizzarra fiaba romantica di Ubriaco d'amore, Paul Thomas Anderson sembra dunque essere più pessimista circa le possibilità di un drastico cambiamento offerte agli esseri umani dall'amore. La stessa Alma (l'intensa Vicky Krieps è una piacevole scoperta), ex cameriera divenuta musa di Woodcock nel suo elegante atelier frequentato dalle più importanti signore dell'alta società londinese degli anni Cinquanta, è una figura femminile complessa e problematica, amorevole ma al tempo stesso inquietante, capace sia di gesti affettuosi che egoistici e pericolosi. Anche lei, un modello di donna assai diverso dalla angelica e pura Lena Leonard di Ubriaco d'amore interpretata da Emily Watson. In questo modo, grazie alle anticonvenzionali caratterizzazioni dei due personaggi principali e al sorprendente sviluppo drammaturgico del loro rapporto, Il filo nascosto si rivela una storia d'amore antiretorica, spiazzante e disturbante. Come ogni opera di Paul Thomas Anderson a partire da Il petroliere, momento di transizione nella poetica del cineasta che da The Master lo ha portato a uno stile molto più rigoroso e asciutto, Il filo nascosto fa largo affidamento sul non detto ed è incline a porre domande e offrire suggestioni piuttosto che servire risposte su un piatto d'argento. Di conseguenza, è un film che richiede più di una visione per essere colto e apprezzato appieno in tutte le sue sfumature. La perfezione compositiva delle inquadrature non diviene mai sterile esercizio esibizionistico, poiché sul piano formale aderisce perfettamente alla natura del protagonista maschile e all'ambiente in cui egli si muove. Allo stesso modo, la superba e maestosa colonna sonora composta da Jonny Greenwood, qui alla quarta collaborazione consecutiva con Anderson, sostiene in maniera formidabile la costante atmosfera di inquietudine che sottende l'intero lavoro. Orgogliosamente girato in pellicola in un'epoca dominata dal digitale, Il filo nascosto è inoltre uno straordinario omaggio a temi e stili del cinema degli anni Quaranta e Cinquanta hollywoodiano ma non solo, con una mirabile cura stilistica che ricorda in particolare uno dei registi in assoluto più amati da Anderson: il maestro tedesco Max Ophüls. Quello del cineasta californiano è però un cinema che va ben oltre la semplice rielaborazione di alti modelli del passato e, anche per merito di una sceneggiatura che si alimenta di dialoghi secchi e penetranti, è capace di far riflettere lo spettatore in profondità, sorprendendolo costantemente e conducendolo a provare forti e inattese emozioni, sulle quali è invitato a interrogarsi mettendosi in gioco in prima persona. Davvero difficile chiedere a un film qualcosa di più.
Luca Ottocento (Movieplayer.it)
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