Drammatico di Marco Bellocchio con Roberto Herlitzka, Pier Giorgio Bellocchio, Filippo Timi, Lidiya Liberman, Fausto Russo Alesi 107 minuti - Italia, Francia, Svizzera 2015
È un cinema complesso e difficilmente inquadrabile, quello di Marco Bellocchio. In parte lo è stato da sempre, ma è negli ultimi quindici o vent'anni che il regista emiliano sembra aver acuito tali aspetti della sua opera, muovendosi in direzioni inattese e spiazzanti: dal sostrato onirico che innervava di tensione il suo L'ora di religione - Il sorriso di mia madre ai folgoranti squarci visionari capaci di rendere Buongiorno, notte qualcosa di molto più elevato di una semplice ricostruzione cronachistica.
Se nel magnifico Bella addormentata, presentato a Venezia tre anni fa, Bellocchio sembrava essere tornato ad un registro di sostanziale realismo (pur con alcune significative incrinature), la pellicola che segna il suo ritorno al cinema e al concorso veneziano, Sangue del mio sangue, si riallaccia invece alla natura più sperimentale e 'sognante' della produzione di Bellocchio, risultando uno dei titoli in assoluto più liberi della sua filmografia, nonché uno dei più densi e stratificati.
A costituire il 'teatro' delle due storie messe in scena in Sangue del mio sangue sono le antiche prigioni del convento di San Colombano, nei pressi di Bobbio, paese natale del regista: non solo la cornice comune di un film in equilibrio su due piani narrativi, ma soprattutto un luogo gravido di suggestioni, legato ad un senso di sacralità che oltrepassa le barriere dei contesti storici e culturali per assumere un valore assai più ampio e sfumato. Si tratta del convento in cui, in una lontana epoca di oscurantismo e superstizione, una congregazione di frati domenicani mette sotto processo suor Benedetta (Lidiya Liberman), una giovane monaca accusata di aver indotto in tentazione e spinto al suicidio il prelato Fabrizio, appartenente ad una famiglia di alto lignaggio. Mentre suor Benedetta si rinchiude in un ostinato mutismo e viene sottoposta a dolorose prove al fine di appurare se la ragazza sia oggetto di una possessione da parte del demonio, al convento giunge l'integerrimo soldato Federico (Pier Giorgio Bellocchio), gemello del defunto Fabrizio, in preda ad un profondo turbamento per la sorte del fratello.
Un altro Federico (sempre Bellocchio) si presenta invece alla porta dello stesso convento molti secoli più tardi, nei giorni nostri, accompagnando Rikalkov (Ivan Franek), un milionario russo interessato ad acquistare l'edificio, ormai semi-abbandonato a se stesso. Il convento, tuttavia, funge ora da residenza - o piuttosto da rifugio - per un anziano Conte (Roberto Herlitzka), figura misteriosa ed elusiva, il quale si è immerso in una solitudine pressoché completa, si nasconde da una furiosa (ex?) moglie (Patrizia Bettini) e abbandona le pareti del convento solo di notte, con il favore delle tenebre, aggirandosi per una Bobbio festosa... quella Bobbio nella quale perfino lui, creatura pseudo-vampiresca che osserva con serafico scetticismo la variopinta umanità attorno a sé, finirà per vivere un'improvvisa epifania: il sorriso leggiadro della cameriera Elena (Elena Bellocchio).
E Sangue del mio sangue, in effetti, è proprio questo: un film di epifanie, un tessuto cinematografico squarciato di continuo per aprire di volta in volta nuove fessure e nuove prospettive. Una pellicola che funziona come un meccanismo a incastri, slegata però da logiche rigorose o da geometrie drammaturgiche per lasciare spazio piuttosto a un susseguirsi di rimandi, di echi interni, di spunti lanciati allo spettatore e poi subito abbandonati per guardare altrove; e questo senso di libertà Marco Bellocchio lo esplora fino in fondo, tendendolo al massimo, come la corda di un arco, senza curarsi di offrire una chiave di lettura univoca. Un'operazione analoga, per certi versi (e in maniera, se vogliamo, ancora più estrema), a quella condotta fra il 1999 e il 2010 nel progetto di workshop concretizzatosi poi nel film Sorelle Mai (e Mai, a proposito, è pure il cognome del Federico della seconda metà del film).
In tali caratteri risiede l'ambiguo fascino - o, al contrario, l'effetto respingente - di Sangue del mio sangue: un film che si addentra in un territorio quasi metafisico, sospeso fra realtà, storia e simbolo, e che gioca con le diacronie del racconto e le oscillazioni dei punti di vista (si veda la splendida sequenza subacquea della "prima prova" di suor Benedetta) per rievocare diversi temi ricorrenti della poetica di Bellocchio: il conflitto fra trascendente e immanente, tra fede e desiderio, incarnato dall'aristocratico Federico (e diffuso per 'contagio' anche alle due perpetue di suo fratello); lo sgomento e l'istinto di ribellione dell'essere umano di fronte all'impenetrabilità del sacro; il sentimento della decadenza e del progressivo "svanire dal mondo", con il Dracula beffardo e malinconico di Herlitzka (ma nella seconda parte del film, ammettiamolo, la confusione rischia di avere il sopravvento sulla fascinazione). E infine la "rivelazione": il momento di luce, quel sublime attimo in cui un personaggio intravede per la prima volta una 'verità' talmente abbagliante da accecare (o da uccidere); perché da lì in poi il resto è silenzio, o per citare i Metallica (e la melodia portante della colonna sonora), dopo la luce nothing else matters...
Stefano Lo Verme (Movieplayer.it)
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