Drammatico di Xavier Giannoli con Catherine Frot, André Marcon, Michel Fau, Christa Theret, Denis Mpunga 127 minuti - Francia 2015
Figura poco nota a livello internazionale ma decisamente curiosa nel panorama musicale americano, Florence Foster Jenkins (1868-1944) è un piccolo caso (dis)umano che ora sta tornando sotto i riflettori, grazie al cinema. È infatti prevista per il 2016 l'uscita di un film dedicato a questa donna benestante nota nel suo piccolo circolo sociale per le sue esibizioni musicali, ritenute esilaranti dagli ascoltatori per via delle doti canore praticamente inesistenti della signora Jenkins, che sullo schermo avrà il volto di Meryl Streep. Hugh Grant interpreterà il suo compagno, St. Clair Bayfield, mentre la regia è stata affidata a Stephen Frears, un veterano dei biopic. In altre parole, un film che già si prenota un posto di riguardo nei pronostici per la awards season di fine 2016/inizio 2017.
Nell'attesa, ci pensa il regista francese Xavier Giannoli ad intrattenerci con la sua rilettura personale della vicenda, trasposta in territorio e lingua francese. Parliamo di Marguerite, presentato in concorso alla 72. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Con Marguerite il regista torna ad esplorare l'universo musicale e canoro già visto in Quand j'étais chanteur, il film che lo lanciò al di fuori della Francia, ma in questo caso si punta molto di più sull'aspetto comico, per quanto intriso di una certa amarezza. Merito della sua interpretazione della vita di Florence Jenkins, che in questa sede diventa Marguerite Dumont (un nome che, forse volutamente, fa pensare a Margaret Dumont, vittima ricorrente dei giochi di parole di Groucho Marx), contessa transalpina che nel 1920, complici il marito e il maggiordomo, vive completamente ignara della propria mancanza di talento, per la gioia di amici e conoscenti che non si perdono mai una sua esibizione, recensita poi con termini che a lei risultano positivi, mentre chi sa leggere fra le righe intuisce quanto lei sia incapace di rendere giustizia alle composizioni di Mozart e compagnia bella.
A garantire il successo complessivo dell'operazione, che ricrea la Francia del primo dopoguerra a Praga e contiene numerosi rimandi tematici e formali al cinema muto e, ovviamente, all'opera lirica (la storia è, non a caso, suddivisa in cinque capitoli), è la protagonista Catherine Frot. Nota soprattutto per La cuoca del presidente, l'attrice interpreta la diva Marguerite con una combinazione vincente di passione, vulnerabilità e patetismo, restituendone il lato più comicamente grottesco senza mai giudicarla. Domina l'azione senza però mai volersi imporre, concedendo volentieri e generosamente lo spazio ai vari comprimari, in primis l'ottimo André Marcon che interpreta stoicamente il signor Dumont. Attraverso le loro interazioni Giannoli si permette anche di analizzare con il giusto equilibrio fra sincerità e farsa la vita di coppia nel ceto alto dell'epoca, mostrandoci una coppia incompatibile ma paradossalmente molto unita, alla quale i due interpreti danno un'anima credibile che trascende eventuali sfide alla verosimiglianza.
Per quanto godibilissimo e ricco di spunti, Marguerite non è esente da difetti, uno dei quali è un elemento familiare a chi conosce il cinema di Giannoli: come già in À l'origine e Superstar, il cineasta dimostra di avere delle ottime idee di partenza senza però sapere esattamente come ricavarne un buon finale. La conseguenza è un epilogo logico, senz'altro, e anche pertinente a livello tematico e visivo, ma privo di quel mordente necessario per chiudere la storia in maniera più incisiva. Anche perché quel finale è sintomatico di un'altra pecca del regista, che qui si ritrova con un cast principale più espanso rispetto alle sue abitudini ma gestisce in modo non ottimale alcuni personaggi che sulla carta sono importanti e poi escono di scena per una durata eccessiva. Gli avrebbe forse giovato, per parlare degli eccessi di Marguerite, concentrarsi su alcuni aspetti-chiave e trascurare delle sottotrame che, pur divertendo, diluiscono la forza narrativa dell'intreccio. Rimaniamo quindi con una visione senz'altro piacevole che però avrebbe potuto essere molto di più. Non ci resta che vedere cosa ricaverà Frears da una sceneggiatura più vicina al materiale di base.
Max Borg (Movieplayer.it) |