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MINUSCULE - La valle delle formiche perdute
Animazione
di Hélène Giraud, Thomas Szabo
89 minuti - Francia, Belgio 2013

Tutto ha avuto inizio solo qualche anno fa quando Thomas Szabo e Hélène Giraud, figlia del ben noto Moebius, hanno deciso di dirigere un cortometraggio con dei piccoli insetti realizzati al computer e inseriti in un paesaggio reale. Questo esperimento ha acceso la curiosità del produttore Philippe Delarue che ha visto immediatamente la potenzialità del prodotto, spingendo i due registi a realizzare una serie tv per il pubblico francese. E' così che è nato il successo di Minuscule - La vie privée des insectes, capace di mettere d'accordo critica e audience senza un solo tentennamento. E l'approvazione è stata tanto evidente da portare ad una seconda stagione e, per finire, al battesimo del grande schermo con Minuscule - La valle delle formiche perdute Un'avventura, questa, che ad un primo sguardo poteva sembrare rischiosa, visto la natura stessa del prodotto televisivo. Infatti, non bisogna dimenticare che, oltre a non trovarci di fronte a delle animazioni classiche dal punto di vista estetico, le gesta di questi insetti ricreati in CGI e poi fotomontati su riprese reali, hanno rappresentato una sfida narrativa non da poco. A caratterizzarli, infatti, è sempre stata la brevità, e l'assenza totale di qualsiasi dialogo affidandosi completamente all'utilizzo dei rumori d'ambiente. A questo punto un dubbio poteva sorgere spontaneo, ossia come poteva un prodotto così particolare essere esteso e adattato per il grande schermo con efficacia tanto da rischiare una candidatura all'Oscar tra le migliori animazioni dell'anno? Proviamo a dare una risposta. Ormai da alcuni anni il team della Pixar ha sdoganato un principio base che ha iniziato a cambiare il mondo del cinema animato: oltre la tecnica e, forse ancora più importante di questa, è la sceneggiatura e, di conseguenza, la caratterizzazione dei personaggi. E la lezione di una buona scrittura è proprio alla base del successo di Minuscule - La valle delle formiche perdute incentrato sulla battaglia tra due tribù di formiche, quelle nere e quelle rosse, per aggiudicarsi una preziosa latta piena di zollette di zucchero. Ma a trasformare questo scontro in una vera e propria avventura, offrendo alla storia la possibilità di un respiro più grande, è la presenza della coccinella "intrusa" che, rimasta orfana alla nascita a causa di alcune mosche, decide di aggregarsi a delle formiche per aiutarle nella loro missione. A questo punto è quasi impossibile non fare dei paralleli con altri film incentrati sul mondo degli insetti, come ad esempio Ant Bully - Una vita da formica e A Bug's Life, ma il film di Szabo e Giraud parla una lingua completamente diversa e in un modo del tutto personale. In questo senso, infatti, la coccinella non assume solo un ruolo fondamentale e primario per il gruppo, quanto per se stessa, diventando l'emblema di chi riesce ad adattarsi al mondo circostante, per quanto diverso dalle sue aspettative, cercando di trarre il meglio dalla realtà a propria disposizione. Quindi, più che di collaborazione e aiuto, questa animazione rimanda un messaggio di indipendenza e sopravvivenza, definendo il gruppo come una famiglia cui aderire nonostante le diversità. La parola non è necessaria, soprattutto in una forma d'arte così naturalmente visiva ed emotiva come il cinema. A dimostrarlo per prima è stata, almeno nell'ambito dell'animazione, ancora e sempre la Pixar con la produzione di WALL·E, in cui il silenzio è riuscito a valere più di mille parole. Questo è possibile, naturalmente, quando il dialogo è sostituito da una poetica costruita attraverso una conoscenza del sentimento e dell'emozione che va oltre i più comuni mezzi di espressioni. In poche parole, per scolpire la narrazione attraverso la mancanza di dialoghi bisogna essere degli artisti del sentimento, andandolo a cercare anche e soprattutto dove non è visibile. Almeno allo sguardo di molti. Così, pur non raggiungendo i risultati lirici della Pixar, anche Szabo e Giraud sono stati capaci di dire la loro a riguardo sfruttando la bellezza paesaggistica del massiccio dell'Ecrins e del Parco Nazionale di Mercantour, enfatizzata dalle musiche di Hervé Lavandier. A questo, poi, si sono aggiunti i rumori ambientali e la caratterizzazione estetica dei personaggi che, partendo da una base reale, ha giocato molto sull'espressività anche con un tocco di esagerazione. Il tutto per riprodurre il linguaggio della natura che, pur utilizzando termini e suoni personali, non rischia certo l'incomunicabilità. Basterebbe ascoltare.
Tiziana Morganti (Movieplayer.it)
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