Drammatico di Ascanio Celestini con Ascanio Celestini, Maya Sansa, Giorgio Tirabassi, Barbara Valmorin 93 minuti - Italia '10
I vecchi manicomi prima della legge Basaglia erano luoghi molto italiani, come le fabbriche degli anni Sessanta, «i favolosi anni Sessanta» direbbe il Nicola di Celestini, o le carceri dei giorni nostri. Per tante ragioni. Una di queste è che l' unica differenza fra custodi e custoditi risiede nell' uniforme. «Se si leva il camice diventa matto pure lui» dice un personaggio di La pecora nera di un infermiere. Ascanio Celestini da annia teatro racconta la storia d' Italia dalla parte dei vinti. E' una cosa proibita. La storia la debbono raccontare i vinti, anche perché così viene molto più ordinata. Ascanio può violare la regola perché dispone della ricchezza di una lingua straordinaria, nobile e insieme popolare, è insomma un poeta. Per fare teatro è indispensabile una lingua nobile, per fare il cinema no. Quando Celestini ha annunciato di voler fare un film da La pecora nera, chi ha ammirato questo spettacolo memorabile, oggi in giro per l' Europa, aveva qualche dubbio. Invece aveva ragione lui. La pecora nera è un film imperfetto eppure molto bello. Forse non è neppure cinema, è un' altra cosa. Un documentario poetico, un bellissimo racconto per immagini. Una strada originale ed emozionante, come lo è stato il percorso teatrale di Celestini, all' incrocio fra film, teatro e narrativa pura. Il critico di Le Monde ha citato il "Diario di un pazzo" di Nikolaj Gogol, ma si potrebbe anche scomodare le novelle di Anton Cechov o di Garsin per descriverne l' anima letteraria russa. Eppure è un' opera modernissima, che parla di qui e dell' oggi. Nicola è un matto che non sa di esserlo, come i veri matti e anche le vere persone normali. Vive sul limite di questo confine e di tutti gli altri, dentro e fuori il manicomio, fra infanzia e vecchiaia, fra sé e gli altri, sul limitare di una città-non-città e una campagna altrettanto anonima, attraversando non luoghi di periferia, supermercatie garagee altri manicomi senza cancelli dove si consumano le tragedie della nostra epoca. E' nato negli anni Sessanta, «i favolosi anni Sessanta», e non ha più voluto o potuto crescere, rinchiuso per destino nel «manicomio elettrico». Il gioco teatrale era di far identificare il pubblico col punto di vista di un pazzo. Il gioco filmico è di leggere attraverso lo sguardo di Nicola la parabola di un paese vittima di troppe illusioni e, alla fine, pure allucinazioni. La storia d' Italia dai favolosi anni Sessanta fino a oggi attraverso la biografia di un piccolo uomo mai neppure registrato all' anagrafe. Un' impresa assurda e straordinaria dove Celestini ha trovato la collaborazione felice di attori non soltanto bravi «ma pure intelligenti», come dice lui, da Maya Sansa a Giorgio Tirabassi a Nicola Rignanese, e la geniale fotografia di Daniele Ciprì.
Curzio Maltese (La Repubblica)
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