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Mercoledì 03 Luglio 2024
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NOWHERE BOY
Drammatico
di Sam Taylor Wood
con Aaron Johnson, Ophelia Lovibond, Kristin Scott Thomas, David Threlfall
98 minuti - Gran Bretagna 2009

Per essere un'artista concettuale, la neoregista Sam Taylor Wood, (unico precedente il cortometraggio Love you more realizzato sotto l'egida di Anthony Minghella), ha scelto una strada relativamente convenzionale, una narrazione filata e naturalistica di una delle vite più indagate, anzi vivisezionate, della storia recente: John Lennon. "Nowhere boy" evita in blocco la tentazione di cedere alle sirene irresistibili della saga beatlesiana, si limita a raccontare il Lennon ragazzo, la sua formazione nella adolescenza di Liverpool tra disobbedienze scolastiche, dischi blues arrivati per mano di portuali compiacenti e soprattutto nel tanto decantato e complesso rapporto con le due donne della sua vita di ragazzo. La prima, come ogni appassionato sa, è la celebre Zia Mimì, tutrice severa, rigida; l'altra,è la madre Julia (a cui è intitolato un brano del White album) ovvero il brio, la leggerezza, e la totale inaffidabilità. La mamma lo ha abbandonato quando aveva cinque anni, lui la ritrova a quindici, con lei impara la spudoratezza ebbra di cui è capace la musica, prima di perderla di nuovo, e per sempre. Aaaron Johnson è un convincente Lennon adolescente, decisamente troppo bello per essere verosimile, ma sufficientemente sfrontato, anarchico e imprevedibile come le testimonianze ci raccontano. Il gusto concettuale della regista si rivela casomai nell' accuratezza delle inquadrature, nella lieve e carezzevole tecnica dei movimenti di camera, nella precisione sobria del montaggio. Ma non trascende mai l'intenzione di base: raccontare la genesi di un artista geniale, la sua iniziazione alla vita, come fosse un bildungsroman, un classico romanzo di formazione, solo che invece di un personaggio fittizio, su cui volare liberi, si tratta di un personaggio reale, anzi, più che reale, di gigantesco ingombro. Così che sulla storia incombe la presunzione di raccontare la verità, di dire una parola definitiva almeno su quella prima fantasticata parte della vita di Lennon, quella in cui passava in bicicletta davanti a un parco di nome Strawberry Fields, in cui si dibatte disperatamente, con qualche caduta melò, tra incerte figure materne e paterne, in cui sogna di diventare Elvis senza ancora sospettare che sarebbe diventato John Lennon, in cui nella palestra della St. Peter's Church Hall incontra Paul McCartney, incontro fatale e determinante non solo per lui, ma per la storia della musica e per il gaudio supremo di milioni di ascoltatori. Il giovane John è un eroe popolare che trova nella marginalità della working class di Liverpool la strada per ridisegnare il mondo. Ma la storia si ferma alle soglie dei Beatles. E per opportuno verismo non c' è traccia della loro musica, tranne il malizioso accordo che suona in apertura e che i fan riconosceranno come l' accordo iniziale di "A hard day's night". Tutto qui, tranne alla fine, il primo pezzo solista del vero Lennon, ovvero l' urlo di "Mother", ("Mother, you had me, but I never had you"), che arriva sulla parola fine come un drammatico e liberatorio colpo di maglio.
Gino Castaldo (La Repubblica)
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