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MIRACOLO A SANT'ANNA
Drammatico
di Spike Lee
con con Valentina Cervi, Pierfrancesco Favino, James Gandolfini, John Turturro
144 minuti - USA/Italia 2008

È assurdo criticare «Miracolo a Sant'Anna» per la sua interpretazione della Resistenza: a Lee interessa la sorte degli afroamericani C'è la Storia, e poi ci sono le storie. E al cinema non occorre che queste si modellino del tutto su quella. Capita così che Spike Lee racconti una storia, e che in parte questa storia si allontani dalla Storia, appunto. O meglio, che introduca in essa un elemento "di fantasia". Che cosa farà lo spettatore? In nome della correttezza storiografica rifiuterà forse Miracolo a Sant'Anna Miracle at St. Anna, Usa e Italia, 2008, 144')? Questo è accaduto, di fatto: che il racconto ambientato in Toscana nell'agosto del 1944, nei giorni dell'eccidio nazista di Sant'Anna di Stazzema, sia stato rifiutato a partire da una brevissima sequenza, nella quale il comandante dei criminali che uccisero 560 persone accusa un partigiano traditore di non aver consegnato alle Ss un comandante della Resistenza (La Farfalla, interpretato da Pierfrancesco Savino), e di esser perciò il responsabile vero della strage. E questo, appunto, contrasta con ogni ricostruzione dei fatti, sia giudiziaria sia storiografica, come del resto avverte una didascalia all'inizio del film. La cosa, peraltro, non ha impedito polemiche e accuse di revisionismo. E neppure ha impedito un "uso" opposto del film, che per alcuni è stato un'ottima occasione per rilanciare l'accusa (ignobile) rivolta in genere alla lotta partigiana: quella d'aver provocato ritorsioni tedesche, e dunque stragi fra i civili. E niente conta che nella sceneggiatura (di James McBride e Francesco Bruni) mai si accenni a una simile prospettiva per così dire interpretativa della Resistenza. Anche questo è segno della miseria politica, culturale e morale dei tempi. Conviene dunque prender le distanze da queste volgarità, e stare al film e alla sua storia, così come Lee la racconta partendo da un romanzo di McBride. Narra questa storia di due fatti che appartengono alla Storia. Oltre a quello di Sant'Anna di Stazzema,infatti,il film rievoca quello della divisione Buffalo Soldiers, la prima dell'esercito americano composta interamente di afroamericani, a parte gli ufficiali. Si trattava di un "esperimento", in un'epoca in cui il segregazionismo era la regola, negli Usa. A questo secondo fatto, certo, Lee è più interessato che al primo: lo conosce meglio, in esso può esprimere meglio la sua passione politica, e addirittura la sua poetica. Infatti, la strage nazista fa solo da sfondo alla storia che davvero gli sta a cuore: quella di quattro soldati della Buffalo che rimangono bloccati in un paese della valle del Serchio, vicino al luogo della strage. Attraverso di loro, e attraverso le loro diverse visioni del mondo, l'autore di Fa' la cosa giusta (1989) racconta della dignità degli afroamericani, e del loro diritto ad avere una memoriae dunque una Storia. È Malcolm X il film che più si avvicina a Miracolo a Sant'Anna (e forse è La 25ma ora, del 2002, quello che più se ne allontana, anche dal punto di vista espressivo). Allora, nel 1992, Lee raccontava la Storia dei neri d'America e del movimento nato attorno al loro leader, ucciso dalla Cia e da alcuni ex compagni traditori nel 1965. Per farlo, inventava una storia, e anzi più d'una. Questo del resto è il cinema, perlomeno quello "popolare": non uno strumento d'indagine storiografica, ma la voce di cantastorie, di inventori e costruttori di miti. Malcolm Little diventava così una sorta di profeta e di martire, e il protagonista eroico di un'agiografia. Ora, tra le montagne toscane, Lee racconta un capitolo importante della Storia dei neri d'America, e lo fa di nuovo inventando, qua e là anche mitizzando. Mitico e addirittura favolistico è Sam Train (Omar Benson Miller), tanto gigantesco quanto innocente e ingenuo. È un pezzo di natura, Sam. Lo è tanto da finir quasi per confondersi con il Gigante addormentato, che secondo gli abitanti del paese veglia sugli uomini dall'alto di una montagna. È lui che incontra e salva il piccolo Angelo (Matteo Sciabordi), sfuggito ai mitra delle Ss a Sant'Anna.Ed è lui che, più di ogni altro, testimonia e difende la dignità umana, al di là di colori, lingue, razze. Se si vuole, è lui il personaggio più programmatico del film, ma non il meno convincente. Programmatico, del resto, è tutto Miracolo a Sant'Anna. Lee lo gira allo scopo e proprio con il "programma" di fare un film (di guerra) di cui siano protagonisti degli afroamericani, contro la tradizione del cinema hollywoodiano. Anzi, con il programma di inventare storie che suggeriscano e testimonino una Storia di cui gli afroamericani sono stati protagonisti. Che questo, insieme con un finale per così dire zuccheroso, sia il limite del suo lavoro è possibile. Ma è anche certo che sia il suo motivo d'interesse.
Roberto Escobar (Il Sole 24 Ore)
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