Drammatico di Francesco Munzi con Valentina Cervi, Stefano Cassetti, Sandra Ceccarelli, Aurélien Recoing 100 minuti - Italia 2008
Nella nevrotica incarnazione di Sandra Ceccarelli, l' agiata damazza Silvana Boarin è una rompiscatole bella e buona. Perennemente irritata e malmostosa, pur vivendo in una villa supermoderna sulla collina torinese, non sembra apprezzare gli sforzi del marito Giovanni (Aurélien Recoing) per farla contenta. Finché se ne viene fuori denunciando la sparizione di un paio di preziosi orecchini, con implicita e inevitabile accusa alla cameriera. Ma la povera Marja (Laura Vasiliu, ereditata dall' inquietante 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni) è talmente ammodino, gentile e indifesa che ti schieri subito dalla sua parte; ed è fremendo che la vedi subire con la rassegnazione degli umili l' onta del licenziamento. Giureresti, insomma, di aver assistito a una tipica ingiustizia da romanzo popolare, ma Francesco Munzi autore di Il resto della notte ha in serbo una delle tante sorprese del film. Non svelerò quale, mi limito a dire che i famosi orecchini sono destinati a ricomparire. Scesa in città senza sapere dove andare a sbattere, Marja torna fatalmente fra le braccia di Ionut (Costantin Lupescu), un pendaglio da forca legato a doppio filo con un altro balordo oppresso da problemi personali, Marco (Stefano Cassetti). A completare il gruppuscolo si aggiunge Victor (Victor Cosma), il fratello minore di Ionut che scalpita per diventare un gangster anche lui. Dal momento in cui la cameriera disoccupata torna a fare il nido nell' ambientaccio al quale si era sottratta, l' amante ha l' idea di utilizzarla. Un po' per spirito di vendetta e un po' perché il piano può essere facilitato dalle dritte della donna, i malviventi si organizzano per svaligiare casa Boarin. A questo punto la storia sta già sullo scivolo e si consumerebbe più rapidamente se il film non si estenuasse su vari percorsi marginali. Come il rapporto disastrato fra Marco e il figlioletto. O come la passioncella extraconiugale di Giovanni per una segretaria, una figuretta che nella sua inutilità spreca il talento di Valentina Cervi. Il vero problema di Il resto della notte è però un altro; e cioè quello che negli uggiosi dibattiti sessantottini veniva chiamato «l' uso politico del film». Su tale terreno, al di là delle ineccepibili intenzioni dell' autore, il film rischia di alimentare la cultura del sospetto e addirittura la xenofobia. Perché alla luce di ciò che accade sullo schermo, chi in prima battuta ha giudicato incivile l' atteggiamento della padrona verso la servetta scacciata e senza colpa è costretto a ricredersi; e ditemi voi se uscendo dal cinema qualcuno avrà ancora la tentazione di mettersi in casa una quinta colonna della malavita di Bucarest. Per carità, nel racconto non c' è niente di falso e neppure di veramente inventato. «Furti in ville al Nord. 9 arresti a Torino»: la notizia del 7 giugno riguarda la scoperta di una banda italo-rumena che rubava negli appartamenti di persone facoltose utilizzando varie talpe fra cui (guarda un po' ...) badanti e colf. È chiaro che Munzi si è imposto di ricostruire plausibilmente una realtà possibile, mettendo in fila i fatti e concedendo a ciascuno le sue pur discutibili motivazioni. Questo atteggiamento, unito alla singolare capacità di confrontare la vita dei felici pochi con quella dei reietti, è senz' altro la prova di un talento sveglio. Per non parlare dei notevoli valori di messinscena (recitazione, ambientazioni, fotografia notturna) e della finezza di far svolgere la mattanza finale fuori scena come nella tragedia classica. Permane tuttavia la fastidiosa sensazione che Il resto della notte, nell'affrontare un problema fra i più scottanti, rischi di portare acqua al mulino dell' estremismo leghista.
Tullio Kezich (Corriere della Sera)
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