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Mercoledì 03 Luglio 2024
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FORTAPÀSC
Drammatico
di Marco Risi
con Libero De Rienzo, Valentina Lodovini, Michele Riondino
106 minuti - Italia '08

Quando si evoca sullo schermo un fatto realmente accaduto esistono due metodi: o ci si limita a ricostruire i fatti su documenti e testimonianze (ed è l' indicazione di Francesco Rosi, indiscusso rifondatore del cinema politico) o si va nel romanzesco (ed è, per restare al nostro cinema, una chiave alla Pietro Germi). Forse l' unico torto di Fortapàsc, film serio e coinvolgente, è di aver imboccato una via di mezzo. Vero il caso dell' omicidio, davanti alla sua casa al Vomero, di Giancarlo Siani, corrispondente da Torre Annunziata per Il Mattino. A sparare il 23 settembre 1985 furono due sgherri, identificati e condannati solo anni dopo, al servizio di un vertice di camorristi preoccupati delle rivelazioni che il cronista andava stampando. Ma il film indugia, sia pure fugacemente, sul privato del ventiseienne Siani, l' altalenante amoretto e il rapporto difficile con un amico fotografo. Il che, quando si parla di cose ben più drammatiche, interessa poco: sicché i personaggi, scendendo nel privato, diventano scialbi; e non si vede l' ora di lasciarli ai fatti loro e tornare al cuore della vicenda. Il problema che emerge dal film, tutt' altro che risolto o in via di soluzione, è tragicamente semplice: quanto si può nel Sud (ma forse anche ad altre latitudini...) denunciare il marcio sui giornali?. Te le lasciano fare? O c' è magari, già in redazione, qualcuno che ti tappa la bocca? O chi, appena accenni a cominciare, trova il modo di farti smettere con lusinghe, corruzione o minacce? Lo scrive il collega Bruno Spampinato, fratello di una delle vittime di questo olocausto a mezzo stampa: «L' Italia ha il primato dei giornalisti uccisi per mafia o terrorismo, tredici in quarant' anni». Se ne parlerà il 4 aprile al Festival del giornalismo di Perugia, dove sarà lanciato il progetto di un osservatorio sull' informazione per evidenziarne difficoltà e rischi. In coincidenza esce appunto Fortapàsc, che con chiarezza spiega come Siani non fu il difensore di una fortezza assediata né un martire volontario, ma semplicemente un professionista in erba che tentava di prendere sul serio il mestiere. Il che continua a essere molto difficile in almeno tre regioni (Campania, Puglia e Sicilia) dove regnano camorra, ' ndrangheta e mafia. Queste orrende piaghe, che risalgono all' unità d' Italia, si sono incancrenite fino a diventare inguaribili. Nessun partito o governo sono riusciti a sanarle; e anzi nelle alte sfere capitoline è a volte invalsa la tendenza a patteggiare voti e favori sottobanco con la delinquenza organizzata. Il fenomeno è tenuto in piedi, oltre che dai poteri occulti, dai troppi miserabili costretti per fame a campare di manovalanza criminale. Marco Risi è un bravo regista (sa girare, inquadrare e montare come pochi) che forse non ha creduto abbastanza in se stesso dopo qualche film andato meno bene. Figlio del grande Dino, un campione del sorriso ironico alla cui memoria dedica affettuosamente Fortapàsc, Risi junior discende piuttosto dall' impegno del postneorealismo. E' un filone nobilissimo, che trova un limite nella sua deludente incidenza sulla soluzione dei problemi: serve per ricordare, per smuovere l' indignazione, ma si ferma là. Del resto non si è mai visto un prodotto artistico in grado di cambiare il mondo. Resta il fatto che vedere ambienti e personaggi calati nella loro realtà arricchisce ciò che può dare il tiggì. Specialmente se, come in questo caso, il milieu viene indagato con proprietà antropologica, mescolando folklore e ferocia, aspetti di rozza ingenuità e cinismo allucinante. Ottimi gli attori di sostegno, fra i quali spiccano Ernesto Mahieux, Massimiliano Gallo e Ennio Fantastichini. Puntuale il contributo del protagonista, Libero De Rienzo, al quale manca solo quel carisma che fa appassionare il pubblico alle disavventure di un eroe per caso.
Tullio Kezich (Corriere della Sera)
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