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Mercoledì 03 Luglio 2024
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THE READER - A voce alta
Drammatico
di Stephen Daldry
con Ralph Fiennes, Kate Winslet, Bruno Ganz
123 minuti - USA, Germania '08

Il passato come colpa e come oppressione: è questo il peso con cui il giovane tedesco Michael Berg scopre un giorno di dover fare i conti, il giorno in cui, ventenne, viene portato dal suo professore di diritto ad assistere a un processo contro alcune donne accusate di essere state in passato le aguzzine di un lager nazista e di avere sulla coscienza la morte di 300 detenute ebree. È questo il nodo centrale di The Reader, presentato ieri fuori concorso, dopo aver fatto incetta di nomination ai prossimi Oscar. Ed è questo il tema (l' elaborazione di una colpa collettiva e storica, di cui il protagonista non ha nessuna responsabilità visto che è nato dopo quei fatti, ma con cui non può fare a mano di misurarsi), è questo il tema - dicevo - che la sceneggiatura di David Hare e la regia di Stephen Daldry affrontano con una misura e un pudore encomiabile. Seguendo abbastanza fedelmente il romanzo di Bernhard Schlink A voce alta (in italiano pubblicato da Garzanti), il film pur saltando spesso tra passato e presente è organizzato in tre grandi blocchi: nel primo, a metà degli anni Cinquanta, il giovane Michael (David Kross) conosce casualmente una donna più anziana di lui (Kate Winslet) che lo inizia al sesso (in modi curiosamente poco espansivi) e che gli chiede ogni volta di leggerle un po' di un romanzo o di una commedia. Fino al giorno in cui misteriosamente scompare; nel secondo blocco, Michael, giovane studente di legge, riconosce in Hanna Schmitz, processata per il suo passato di kapò nazista con altre colleghe, proprio la donna che aveva amato quindicenne: sa anche di avere la prova che non è lei la responsabile di tutto quello che le viene addebitato (è analfabeta: per questo si faceva leggere i libri) ma non lo dice a nessuno; nell' ultima parte, Michael adulto (Ralph Fiennes) trova la forza di inviare ad Hanna in prigione - è stata condannata all' ergastolo - una serie di cassette dove ha inciso i testi dei libri che le aveva letto da ragazzo: grazie a loro lei impara faticosamente a leggere e a scrivere e lui viene spinto a incontrarla qualche giorno prima che una grazia la porti fuori di prigione. E proprio durante questo incontro (che prelude a un finale che lasciamo alla curiosità dello spettatore scoprire), Michael chiede ad Hanna se abbia mai ripensato al passato e alle sue azioni. Sarebbe stato consolatorio far crescere nell' ex aguzzina un qualche sentimento di pietà e di colpa, ma sarebbe stato anche troppo facile: Hanna resta un' «analfabeta morale» (anche se ha imparato a leggere), lo «specchio» di un passato che non si può cambiare o edulcorare. È «giusto» (narrativamente parlando) che lei spieghi - non si giustifichi, attenzione - che spieghi come ha ubbidito agli ordini, anche se quegli ordini sono costati la vita a 300 ebree: è giusto perché così ragionava e si comportava la Germania nazista. Spetta a Michael, che è nato in un' altra Germania ma che di quel passato non può evitare di farsi carico, «elaborare» quei comportamenti, capire che per quelle persone si può anche provare della passione ma riflettere anche sulla «povertà» di quei sentimenti, e sull' educazione e sulla famiglia e sulla cultura che schiacciate da quel passato hanno a loro volta «schiacciato» il cuore e la mente di un ragazzo. Senza arrivare a facili assoluzioni o, peggio, giustificazioni, il film affronta così il tema del passato come condanna (c' era già nel terzo «episodio» del precedente lavoro di Daldry e Hare, The Hours) sfruttando la straordinaria forza emotiva degli attori - tutti davvero bravissimi - per costringere ogni spettatore a fare i conti con i propri «passati». Senza lanciare facili accuse ma anche senza evitare le domande più scabrose.
Paolo Mereghetti (Corriere della Sera)
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