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Mercoledì 03 Luglio 2024
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IL BAMBINO CON IL PIGIAMA A RIGHE
Drammatico
di Mark Herman
con Asa Butterfield, Jack Scanlon, Amber Beattie, David Thewlis
100 minuti - Gran Bretagna, USA '08

Il bambino con il pigiama a righe racconta l'olocausto con gli occhi di un piccolo ariano, mimando i valori nazisti. E forse anche i nostri. È una porta chiusa l'immagine su cui termina Il bambino con il pigiama a righe (The Boy in the Striped Pyjamas, Usa e Gran Bretagna, 2008, 94'). Che cosa accada dall'altra parte, nell'inferno che sta al di là, è questione che riguarda l'immaginazione inorridita dello spettatore. Il cinema lo ha condotto fino a quel limite, e ora lo lascia solo con la sua coscienza. Tratto da un libro dell'irlandese John Boyne, il film scritto e girato dall'inglese Mark Herman racconta la più irraccontabile delle storie.I suoi protagonisti sono l'odio e l'obbedienza, la burocrazia e la macchina della morte, la razza e lo sterminio. In una parola, racconta la Shoah, e con essa racconta l'innocenza degli assassini, per usare l'ossimoro coniato quasi 60 anni fa da Albert Camus, nell'Uomo in rivolta. Innocente è sicuro d'essere Walter (David Thewlis), il padre del piccolo Bruno (Asa Butterfield). Ufficiale delle SS, è promosso a un ruolo che il nazismo considera decisivo per il futuro della Germania: il comando di un lager. Quello cui è destinato non è un campo di sterminio – dove le vittime transitano per non più di qualche ora, ossia per il tempo tecnico della loro eliminazione –, ma un campo di lavoro. O meglio: un campo nel quale la morte di massa è "amministrata" mediante il lavoro, e non direttamente con le camere a gas. Ai suoi occhi, si tratta di un compito storico, che richiede coraggio morale e abnegazione adeguata. «Sovrumanamente inumani», così appunto in quei giorni ( attorno al '43) Heinrich Himmler esorta a essere i burocrati e gli aguzzini che si occupano della soluzione finale. Gli ebrei, meglio l'Ebreo è il veleno del mondo,il responsabile d'ogni crimine e d'ogni decadenza. Eliminarlo significa dunque salvarlo, il mondo. Insomma, al pari di tanti che gli somigliano, Walter amministra la morte degli Untermenschen, dei sottouomini, non in nome di un Male assoluto, ma proprio di un Bene assoluto: il futuro dell'Uomo, cioè dell'Ariano. Anche la madre di Bruno coltiva questa visione del mondo. La donna (Vera Farmiga) non partecipa attivamente al "compito". Tuttavia, condivide la fede trionfante nella sua necessità storica. Perciò, affida se stessa e i due figli – Bruno e Gretel (Amber Beattie) – alle decisioni del marito, compresa quella di trasferirsi da Berlino in "campagna", nei pressi del lager. Questa è l'innocenza degli assassini, questa certezza d'avere il diritto, e anzi il dovere di uccidere. Come la si può cono-scere, quest'innocenza, se non mettendosi dalla sua parte? Se si resta dall'altra, da quella delle vittime, se ne ricava un orrore tanto profondo quanto muto. Quello che si vede è mostruoso, del tutto incomprensibile. Di per sé, il Male assoluto è opaco. Si fa invece trasparente quando lo si indaga in "controcampo", come conseguenza od ombra di quello che il persecutore considera il Bene assoluto. Così fa il film di Herman: capovolge il punto di vista più ovvio e, almeno all'inizio, guarda con gli occhi dei persecutori. E poi, dentro questo capovolgimento, ne attua ancora un altro. È di Bruno, non degli adulti, lo sguardo che smaschera l'orrore. Portato via da Berlino e dai suoi piccoli amici, il bambino osserva il mondo sconosciuto in cui dovrà vivere. Nella grande casa che sta vicino a quella che pensa sia una fattoria cerca di ritrovare un senso, una normalità. Dunque, lo esplora, quello strano mondo. E molti suoi particolari lo stupiscono. Perché Pavel (David Hayman) indossa in pieno giorno un pigiama a righe? Che cosa c'èaldi làdella finestradella sua camera? Perché il padre l'ha fatta oscurare? Perché, ancora, l'istitutore suo e della sorella li costringe a leggere libri noiosi che raccontano dell'Ebreo e dei suoi crimini? E poi, anche Pavel è ebreo. E che male ha potuto mai fare, per essere costretto a servire in cucina, lui che è medico? È dall'interno della visione del mondo dominante che Bruno parte per la sua "esplorazione". E quel che scopre è doloroso.Forse, il padre non è l'ufficiale valoroso e buono che dice di essere. Forse, all'istitutore non si deve prestare fiducia. Forse, dietro la casa non c'è una fattoria. Ed è qui, dietro la casa, che Bruno incontra un nuovo piccolo amico: sta oltre una linea di filo spinato, e porta lo stesso pigiama di Pavel. Diventano amici, l'ariano e l'ebreo. Quel che poi accade lo lasciamo allo spettatore, e al suo sguardo pieno di sofferenza, proprio come il film fa con la porta su cui termina. Suggeriamo però che, al di là di quel limite, c'èil cuore nero di questa storia irraccontabile, un cuore che ci riguarda tutti, ogni volta che nutriamo la nostra innocenza di odio: di odio per l'Ebreo, o per il Nero, oper il Rom, o per...
Roberto Escobar (Il Sole 24 Ore)
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