Drammatico di Roberto Faenza con Alessandro Preziosi, Lucia Bosè, Lando Buzzanca, Cristiana Capotondi 120 minuti - Italia 2007
Quando attinge alla letteratura, Roberto Faenza realizza in genere trasposizioni corrette che non rischiano più di tanto in termini reinvenzione/ tradimento/ stravolgimento del romanzo ispiratore. Dopo Schnitzler, Tabucchi, Maraini, Yehoshua, Ferrante, ora l'autore torinese si è rivolto a «I viceré» di Federico De Roberto, capolavoro della letteratura italiana pubblicato nel 1894 e per molti anni misconosciuto da pubblico e critica. Seconda parte di una trilogia dedicata agli Uzeda, immaginaria famiglia nobile discendente dagli antichi viceré di Sicilia, «I viceré» è apparentemente un classico romanzo storico, potente affresco di un'epoca e metafora del sistema politico italiano. In realtà è opera corale complessa e l'omonimo film di Faenza evidenzia la tipica dicotomia - in termini di percezione - di certe impegnative trasposizioni: da un lato c'è il film con una sua dignitosa autonomia espressiva godibile per chi prescinde dal romanzo o non lo ha letto, dall'altro c'è l'inevitabile esigente comparazione con la fonte letteraria da parte di chi la conosce e per le affinità e antitesi con il «Gattopardo» di Tomasi di Lampedusa, sicuramente influenzato da De Roberto. Sullo sfondo del regno borbonico delle Due Sicilie si consumano le lotte che agitano la famiglia Uzeda, il cui patrimonio alla morte della matriarca viene diviso tra i suoi figli, il primogenito Giacomo e Raimondo. Estromesso il fratello, Giacomo diventa il padre-padrone, il carnefice che tradisce la moglie, spedisce il figlio Consalvo in seminario e impone alla figlia Teresa un matrimonio di interesse. Con l'arrivo di Garibaldi, Consalvo ormai adulto si inserisce tempestivamente nel nuovo clima di libertà, si ribella al tirannico padre e con abile trasformismo fa il suo ingresso in Parlamento e diventa l'eroe politico di una nuova era. Tra l'affresco storico e la saga familiare, il film s'impone per la sontuosa messa in scena, l'accurata ricostruzione barocca, i toni epici e spettacolari, i suggestivi riferimenti pittorici e l'incisiva interpretazione di Lando Buzzanca e Alessandro Preziosi. Ma si ha la sensazione del già visto, di trovarsi al cospetto di una materia familiare fatta di sesso, potere e denaro, divulgata da fiction popolari in costume. E si è tentati di applicare al film la stroncatura di Benedetto Croce al romanzo di De Roberto: «Un'opera che non illumina l'intelletto come non fa mai battere il cuore».
Alberto Castellano (Il Mattino)
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