Drammatico di Andrea Porporati con Renato Carpentieri, Donatella Finocchiaro, Fabrizio Gifuni, Luigi Lo Cascio 98 minuti - Italia 2007
È certo un film sulla mafia, e anzi sulla formazione di un giovane mafioso, Il dolce e l'amaro (Italia, 2007, 98').E però il bel film scritto e diretto da Andrea Porporati non si chiude dentro la miseria umana di Cosa nostra. Saro Scordia (Luigi Lo Cascio) ci è molto più vicino di quanto la sua carriera criminale induca a sospettare.
La si intuisce fin dalla prima sequenza, questa vicinanza (eventuale). Inquadrati di spalle contro un paesaggio pieno di luce, Saro e Gaetano Butera (Toni Gambino) fanno pipì insieme. C'è già un indizio di quella vicinanza, appunto, in questo rituale virilistico. È un po' come se i due intendessero il mondo, e certo il loro rapporto, alla luce di quel gesto. Questo è il mondo, dunque, per molti: una questione di potenza. Per usare un'espressione adeguata alla situazione, c'è chi lo mette sotto, e c'è chi se ne lascia metter sotto.
Poi, oltre questa metafora incorporata nelle immagini che aprono il film, tra i due accade qualcosa di più esplicito. «Che bella luna c'è»,dice pressappoco Gaetano.Ma Saro se ne stupisce, e tenta di far valere la testimonianza dei propri occhi. «Io vedo il sole, non la luna», prova a sostenere. L'altro insiste. Anche lui insiste. Allora il mafioso gli stringe la faccia in una mano, lo guarda fisso, e gli ripete che quello che illumina il cielo, in pieno giorno, non è il sole. Finalmente il giovane ha capito. Anche per lui, ora, sopra le loro teste splende una magnifica luna.
Se il mondo è una questione di prevaricazione, se gli uomini si dividono fra chi mette sotto e chi si lascia metter sotto –così "impara" Saro –, allora conviene prender parte a questa potenza che tutto fa suo. A decidere del vero e del falso saranno dunque gli occhi di chi sta sopra. Insomma, Saro si consegna a Gaetano: si consegna a questo suo padre assoluto, a questo suo padrone, con l'entusiasmo di chi intravede anche per sé un futuro di potenza e di prevaricazione. Per comandare, così immagina, occorre prima obbedire. Per dirla tutta, per mettersi sotto il mondo, occorre prima lasciarsi metter sotto.
Che ci sia qui una contraddizione tragica, e anzi tragicomica, sfugge all'apprendista mafioso. D'altra parte,così per lo più accade. Consegnarsi, rinunciare alla testimonianza dei propri occhi, significa convincersi di non essere più solo se stessi, di non dover più contare solo su se stessi. Una volta detto il primo sì al padre padrone, tutto il resto sembra diventar più facile. Il potere ha un fascino corruttivo, appunto: quanto più nega la dignità di chi gli si consegna, tanto più chi gli si consegna si illude di lucrarne una parte, se non addirittura di esserne parte.
Dopo il fatto della luna, dunque, Saro entra sempre più nella macchina (non solo) mafiosa dell'obbedienza. Al suo primo sì tanti altri ne seguono, ognuno più radicale e irreversibile del precedente. Il vantaggio di questa carriera – di questa corruzione psicologica – è che il suo prezzo morale continua a scendere. A un certo punto, anche l'uccidere sembra a buon mercato.
Quando glielo ordinano, Saro non indugia. Sparare a un uomo è per lui solo una questione tecnica. Anzi, non solo tecnica, ma in qualche modo anche erotica. E infatti, per rimediare a un'esitazione del suo compagno Mimmo (Gaetano Bruno), si lancia addosso alla loro vittima, quasi abbracciandola, e gli scarica nel ventre tutti i colpi della sua pistola. È uno stupro vicendevole, questo loro rapporto di morte. Quando ne esce, Saro è stanco come un amante che niente di sé abbia risparmiato.
Ora dunque può entrare in Cosa nostra, tra uomini il cui onore si misura con il metro che Gaetano gli ha mostrato. Ma proprio ora Il dolce e l'amaro comincia a ritrovare quella tale contraddizione. Chi è il nuovo uomo d'onore, se non uno dei molti "messi sotto" nella macchina dell'obbedienza? E infatti viene usato, ingannato, tradito. Proprio quando suppone d'essere arrivato in cima al mondo, là dove sta chi può decidere del sole e della luna, scopre d'aver fatto lo stesso errore del vero padre, tanti anni prima. Come lui, s'è lasciato convincere di potersi adattare a rinunciare alla testimonianza dei propri occhi, restando tuttavia padrone di sé. E come lui sarà cancellato.
Riuscirà a sfuggire a Cosa nostra, Saro. Riuscirà anche ad avere una vita sua, libero da padri padroni. Ma ne pagherà il prezzo. Sarà una risata, quel prezzo. Nell'ultima sequenza, lontano dalla Sicilia, affrancato dalla logica virilistica della potenza e della prevaricazione, gli toccherà di rivedere la propria misera carriera riflessa in altri che, come lui, si sono "consegnati". E ne riderà, appunto. Ne riderà come di un incubo tragico, tanto assurdo quanto vicino.
Roberto Escobar (Il Sole 24 Ore)
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