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SICKO
Documentario
di Michael Moore
120 minuti - USA 2007

Non sarà un caso se alcuni dei legal drama più convincenti e appassionati della produzione hollywoodiana (penso a Il verdetto di Lumet, Erin Brockovich di Soderberg, L' uomo della pioggia di Coppola, ma anche al Michael Clayton con George Clooney che verrà presentato alla prossima Mostra di Venezia) hanno tutti al loro centro una causa per problemi di malasanità. E soprattutto che la mettono in scena secondo la collaudatissima formula di «Davide contro Golia». Dove naturalmente David è il povero paziente che non riesce ad avere le cure a cui dovrebbe aver diritto o - versione alternativa - subisce le conseguenze delle avide scelte di arricchimento delle industrie, mentre Golia ha la faccia delle megasocietà che producono farmaci di vario tipo o che assicurano i «poveri» pazienti. È questo anche lo schema che ha adottato Michael Moore per SiCKO, un film che fin dal titolo - un acronimo tra la parola «sick» (malato) e il K.O. che spesso subisce da parte di chi invece dovrebbe curarlo - indica chiaramente da che parte si schiera il documentarista americano. Dalla parte dei Davide di ogni colore, ma non di ogni censo, che abitano gli Stati Uniti. Con il solito stile concreto e pragmatico, Moore inizia il film mostrando alcuni casi specifici di malasanità, di persone che si sono dovute ingegnare da sole per risolvere ferite o fratture, che hanno dovuto scegliere che dito farsi riattaccare dopo un' incidente (perché la loro assicurazione non copriva più di un intervento), o, peggio, che hanno pagato con la povertà o addirittura con la vita il rimpallo di responsabilità e gli infiniti cavilli legali che le assicurazioni mediche sono abituate a mettere in campo. E che i poveri malati spesso scoprono solo nel momento del bisogno. Alle loro testimonianze, poi, il film aggiunge quelle di chi, avendo lavorato all' interno di quelle organizzazioni assistenziali, ha rivelato pubblicamente le strategie messe in atto per rimandare le cure, ritardare i pagamenti, dilazionare il più possibile ogni tipo di intervento sanitario. Un atteggiamento - e Moore lo documenta bene - che ha avuto una smaccata copertura politica da parte delle varie amministrazioni che si sono succedute alla Casa Bianca: quelle repubblicane di Reagan e Bush, naturalmente, che hanno difeso a spada tratta la logica secondo cui le assicurazioni private avrebbero garantito una più efficace copertura contro le malattie, ma alle cui chimere non ha saputo sfuggire neppure l' amministrazione democratica di Clinton, che appena eletto aveva annunciato un piano di intervento nazionale sulla sanità ma che dopo («dopo» anche un considerevole finanziamento ricevuto dalla moglie Hillary da parte di una di queste aziende) ha lasciato tutto lettera morta. Permettendo al suo successore di peggiorare ancora più la situazione e, conseguentemente, di far aumentare ancora di più i profitti delle varie assicurazioni private. Questa volta, però, Michael Moore mette da parte il narcisistico protagonismo che aveva sfoggiato nel precedente Fahrenheit 9/11 per ricordarsi delle sue origini di documentarista e apre l' obiettivo della sua inchiesta andando oltre la cronaca e la denuncia politica. A metà circa del suo percorso, SiCKO cambia strada e comincia a confrontare il sistema sanitario statunitense con quello di altri Stati «amici», come il Canada (dove scopre che molti americani fanno i «frontalieri» della sanità per avere cure migliori) o l' Inghilterra e la Francia, dove il sistema di protezione del malato tocca punte che sembrano fantascienza agli occhi del regista americano: medicine a prezzi «politici», assistenza a domicilio, periodi di convalescenza o gravidanza pagati e, addirittura, baby sitter e domestiche in aiuto di chi ne ha bisogno. Un crescendo di confronti, sorprese e «meraviglie» (a proposito delle sanità altrui) che tocca il punto più alto con la visita a Cuba. Incuriosito dal fatto che il governo americano si vantasse di garantire ai terroristi di Al Qaeda rinchiusi a Guantanamo un trattamento sanitario migliore di quello offerto dalle varie assicurazioni private, Moore imbarca un gruppo di pompieri che soffrono di gravi problemi respiratori contratti duranti i frenetici giorni di lavoro alle Twin Towers e si dirige a Guantanamo. Dove naturalmente nemmeno lo fanno avvicinare a terra. In compenso sbarca a Cuba, dove medicine inavvicinabili negli Usa vengono offerte gratuitamente dalla mutua castrista e gli eroi delle Torri gemelle (come erano stati ufficialmente chiamati da Bush) vengono curati amorevolmente, correttamente e soprattutto gratuitamente! Certo, ogni tanto la sua analisi della sanità estera (non di quella cubana, piuttosto di quella europea) si fa prendere dall' entusiasmo, e risente della sua posizione di «patriota deluso», ma non si può dire che Moore non abbia messo il dito nella piaga di un sistema che pensa al profitto a scapito della salute. E alla fine il suo film ci obbliga a ragionare su un Paese (e su una cultura) che sembra aver dimenticato i valori fondanti della democrazia e della solidarietà, per inseguire solo la logica del guadagno. Anche se a farne le spese questa volta è addirittura la vita alle persone. Eroi o sconosciuti che siano.
Paolo Mereghetti (Corriere della Sera)
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