Thriller di Robert Siodmak con George Brent, Kent Smith, Dorothy McGuire, Ethel Barrymore, Sara Allgood 125 minuti - b/n - USA 1946
Un capolavoro assoluto del thriller, la cui tensione, nonostante siano trascorsi quasi sessant'anni dalla sua uscita, è ancora genuina. Gli elementi di punta del genere ci sono già tutti, e come tali verranno poi ripresi in seguito (e continuano ad essere sfruttati tuttora) in una miriade di altre pellicole che narrano le gesta di un qualsiasi pazzo omicida. In primis La Scala a Chiocciola, che dà il titolo al film e che non può non ricordare l'uso magistrale della spirale messo in scena da Alfred Hitchcock: un titolo per tutti "Vertigo". Rilevanti anche le zoomate sull'occhio dell'assassino o le inquadrature giocate allo specchio, che hanno fatto la gioia dei fan di Dario Argento e Brian De Palma negli anni '70-'80. La presenza poi di una protagonista portatrice di un qualche handicap, in grado di trasformare il suo ruolo da vittima a eroina, è stata ed è tuttora una costante del thriller: da "Gli occhi del delitto" di Bruce Robinson, che cita direttamente questo film, in cui la protagonista Uma Thurman è cieca, a "Gli occhi del testimone" di Anthony Waller, in cui invece è muta, a "Gli occhi della notte" di Terence Young (evidentemente i distributori italiani non brillano di fantasia nella creazione dei titoli, quasi sempre diversi nella versione originale) in cui è di nuovo cieca. E che dire della classica notte buia e tempestosa? O della fioca luce della candela che si spegne sprofondando la cantina nel buio? O delle stanze immense riempite da gravosi silenzi, giustificati dal mutismo della protagonista? Le regole sono seguite alla lettera (o forse in parte create, e a seguirle sono stati in seguito gli altri): ecco perché, quando una povera fanciulla si allontana esclamando << Torno subito! >>, chi ha amato "Scream" non può che pensare ad una fine preannunciata che puntualmente si avvera. Se quindi la regia di Siodmak è davvero eccezionale, un plauso altrettanto meritato è da destinarsi alla fotografia di Nicholas Musuraca, splendida in un bianconero gotico che in certi momenti ricorda le vette dell'espressionismo tedesco degli anni '20, con i suoi giochi di luci e ombre favoriti in questo caso dai continui lampi. Anche le scenografie sono notevoli, tanto sfarzose nei lussuosi ambienti della villa quanto angoscianti nella oscura cantina. E benché l'intera storia si svolga quasi totalmente nell'arco di una notte (anche questa non è una novità del thriller, basti pensare ai capostipiti di saghe quali "Halloween" o "Venerdì 13") e all'interno della stessa casa, il continuo succedersi di eventi non lascia mai spazio alla noia. C'è comunque da rilevare, per quel che riguarda la trama, che alcune soluzioni giocate su una psicologia alquanto spicciola (il modo in cui la protagonista perde e riacquista la parola) o alcune concessioni al luogo comune (la cuoca ubriacona) possono far sorridere lo spettatore attuale. Il quale, ormai svezzato da gialli intricatissimi, non avrà poi molte difficoltà ad individuare l'assassino all'interno della ristretta cerchia di sospettati. Rimane comunque il fatto che quell'ombra avvolta nel mantello, quell'ombra che appare fugace nel parco grazie all'accendersi di un lampo e poi torna a fondersi con la notte, strappandoci un brivido, quell'ombra che si nasconde dietro lo stipite della porta e spia le mosse della sua vittima, essa è padre di tutti i Michael Myers, di tutti i Jason Voorhees, di tutti i pazzi scatenati che hanno infestato il grande schermo. E che ancora non siamo riusciti ad esorcizzare.
Francesco Bristot
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