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SWEENEY TODD - Il diabolico barbiere di Fleet Street
Musicale/Thriller
di Tim Burton
con Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Sacha Baron Cohen
117 minuti - USA 2007 - V.M. 14 anni

Johnny Depp in Sweeney Todd riprende le lame per Tim Burton; però il candido Edward Manidiforbice è diventato un sanguinario assassino, un serial-killer del rasoio. E chi non bramerebbe vendetta, dopo avere subìto quel che è toccato a lui? La storia è un po' scippata al Conte di Montecristo. Quando il protagonista era giovane, si chiamava Benjamin ed era il miglior barbiere di Londra, un turpe giudice di nome Turpin (Alan Rickman) lo fece deportare, per rubargli la bionda moglie (e già che c'era, anche la figlioletta in fasce). Approdando a Londra, invecchiato e torvo, cipiglio da Angelo della Morte, l'uomo denuncia gli obbrobri della città, sentina di miserie e di prepotenze che, al paragone, quella di Charles Dickens era Disneyland. Raggiunge poi la bottega della vedova Lovett (la interpreta Helena Bonham Carter, la moglie del regista, che le fa sempre fare o la strega o la morta), una specie di fattucchiera da sempre innamorata di lui che confeziona pasticci immangiabili. Diventeranno succulenti però, e andranno a ruba, quando entrerà a far parte degli ingredienti la carne umana: quella dei clienti sgozzati dal barbiere e tosto trasformati in macinato. Poco interessato agli "affari", però, Todd persegue la rovina del giudice; da portare a termine prima che l'abietto realizzi il suo progetto: sposare la dolce Johanna, la figlia del barbiere di cui ha fatto la sua pupilla. Se, dopo la visione di Sweeney Todd, la vostra notte sarà popolata d'incubi, non rimproverateci di non avervi avvistati. Basato su un fatto di cronaca del primo Ottocento, a sua volta all'origine di un musical di lungo-corso a Broadway, il film è un'opera in nero e rosso; un delirio gotico popolato di fantasmi, una fiaba atroce più di "Hansel e Gretel", incubo della nostra infanzia; un teatro della crudeltà claustrofobico che lascia tracce sanguinanti nella memoria a medio termine dello spettatore. Burton accentua il senso di chiuso moltiplicando i primi piani, con l'effetto di rendere più incombente l'atmosfera scena dopo scena. Decolora l'immagine, come se a osservarla fosse il cupo occhio di Todd, con l'effetto di esaltare il rosso-emoglobina, che invade gradualmente lo schermo (vedi l'ultima inquadratura, Pietà sconsacrata e oscena che è difficile togliersi dalla mente). Merito (colpa?) anche delle straordinarie scenografie di Dante Ferretti, della fotografia funerea di Dariusz Wolski, delle canzoni di Stephen Sondheim, Tim dilata a proporzioni mai toccate il suo personalissimo senso del "creepy", quella capacità di instillare nelle immagini qualcosa che fa accapponare la pelle. Difficile immaginare un musical dove si canta di stragi e cannibalismo, o in cui il protagonista intona una canzone che promette "Lo sgozzeròoo...". Ben oltre "Il fantasma dell'Opera", dopo un po' la cosa suona stranamente normale. Va aggiunto, a onor del vero, che alcuni "numeri" sono deliziosi: in particolare il duetto "Pretty Women", cantato (piuttosto bene) da Johnny Depp e Alan Rickman. Bellissima melodia, ripetuta dai due verso la fine: ma che, la seconda volta, prelude a un bagno di sangue. Attenzione, dunque: perché nei fantasmi di Fleet Street potreste riconoscerne di somiglianti come fratelli ai vostri.
Roberto Nepoti (La Repubblica)
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