Drammatico di Martin Scorsese con Matt Damon, Leonardo Di Caprio, Jack Nicholson 149 minuti - USA 2006
«Io è un altro». Di fronte a The Departed di Martin Scorsese, l' allarmante dichiarazione di Jean Genet si riaffaccia alla memoria, coniugandosi con la famosa battuta che suggella Così è (se vi pare): «Io sono colei che mi si crede». E ancora a Pirandello si potrebbe ricorrere per tradurre il titolo del film (memori di Mattia Pascal): Il fu. Ma parlando di apparenze e maschere, tema ricorrente nel nostro mondo dove i trasformismi d' ogni tipo stanno rendendo precario ogni tentativo di identificazione, vorrei rimandare il lettore in vena di lunghi percorsi in dvd alle 105 puntate delle cinque stagioni di «Alias», il serial di J.J. Abrams passato sui teleschermi americani (e a ruota anche da noi) dal 2001. Questa storia infinita sulle avventure e disavventure di un gruppuscolo di doppie spie, è un romanzo balzacchiano la cui chiave sta nella progressiva scoperta che nessuno è quello che sembra. Se un simile prodotto di sofisticato divertimento contrabbanda un messaggio, non può essere che questo: attenzione a chi vi circonda, nessuno è come appare; e attenzione anche nel guardarvi dentro... Non è una novità, se ricordiamo Ripley (tranquillo in apparenza, in realtà falsario e killer) nei cinque romanzi che gli ha dedicato Patricia Highsmith; o al protagonista della serie scaturita da The Bourne Identity di Robert Ludlum. Tutte figure che hanno trovato ospitalità anche sullo schermo; per tacere, ovviamente, del classico stevensoniano cento volte ripreso Dr. Jekyll and Mr. Hyde. Sul tema del doppio infinite sono le variazioni possibili ed è curioso che Scorsese sia andato a cercarne una fino a Hong Kong, nella trilogia filmica di qualche anno fa intitolata in Usa Infernal Affairs della quale The Departed rielabora il motivo dello scambio delle «talpe». Billy (Leonardo DiCaprio) è un poliziotto infiltrato fra i mafiosi, Colin (Matt Damon) è un mafioso infiltrato nella polizia; e fra i due viene a trovarsi per dovere d' ufficio la psicologa Madeleine (Vera Farmiga), che fa un figlio con l' uno e sesso con l' altro. Da notare che il personaggio femminile, assente nel film asiatico, è uno degli ingredienti aggiunti dallo sceneggiatore William Monahan con il risultato di aumentare la durata della vicenda: un' ora in più rispetto ai secchi 90 minuti dell' originale. Lo speculare e atroce «bildungsroman» fa incontrare faccia a faccia i due protagonisti solo verso la fine perché in precedenza gli incroci avvengono per interposta persona o attraverso gli squilli dei portatili, usati con sapiente tempestività. Nel film, ambientato a South Boston da uno Scorsese che ne sottolinea le affinità con Little Italy, l' ago della bilancia è rappresentato dal superboss Frank Costello (Jack Nicholson) che a onta dell' omonimia con il famigerato oriundo calabrese di Cosa Nostra è irlandese anziché italiano. E gli irlandesi, come apprendiamo da una battuta film, erano considerati da Sigmund Freud in persona «l' unico popolo impermeabile alla psicoanalisi». Vano è quindi cercare il bandolo della personalità di un supercriminale presentato senza mezzi termini come un cinico assassino a sangue freddo, sempre pronto a far proseliti da premiare o punire secondo i casi e prodigo di lezioni di pragmatismo: «Nessuno ti regala niente, le cose devi prendertele». Però (e questa è la novità rispetto ad archetipi come Piccolo Cesare o Scarface) salta fuori che fa il doppio gioco anche lui. Ringiovanito di vent' anni nel prologo del film, grazie alle astuzie dell' operatore Michael Ballhaus, Nicholson allunga la sua ombra malefica e pittoresca su tutto il racconto incarnando la legge della giungla; e la danza macabra converge verso un finale al sangue che assomiglia a una mattanza di Tarantino, ma finalmente motivata e senza che l' eccesso cerchi sollievo nell' ironia. Tullio Kezich (Il Corriere della Sera)
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