Drammatico di Gianni Amelio con Sergio Castellitto, Tai Ling 104 minuti - Italia 2006
Il cinema italiano esordisce a questa Mostra con un grande film, La stella che non c'è, firmato da un grandissimo autore, Gianni Amelio. Una cronaca realistica, ma anche una riflessione, filtrata quasi attraverso l'intimismo, su un personaggio che vede sconfitta una sua ostinatissima ossessione dalla scoperta di valori più quieti, come quelli espressi dai bambini. Lo spunto, ad Amelio è stato suggerito dalle ultime pagine di un romanzo di Ermanno Rea, «La dismissione», di cui ha cambiato il nome del protagonista da Buoncuore a Buonavolontà, lasciandogli quella professione di tecnico che, nel testo originale, l'aveva condotto a sovrintendere alla dismissione di una grande acciaieria (in Rea quella di Bagnoli) venduta pezzo a pezzo a un'industria cinese. Se non che, al momento di questa dismissione, il tecnico si accorge che, in uno dei più importanti macchinari, c'era una centralina difettosa, con possibili conseguenze funeste dopo. Così, appassionatamente legato da una vita a quei macchinari, non esita ad andare in Cina a proprie spese per mettere sull'avviso i nuovi acquirenti riparando lui stesso il guasto. Presto però, pur sostenuto da una interprete, si perde in quel Paese immenso, e a lui del tutto estraneo, nella inutile ricerca, all'inizio, di quella fabbrica dove dovrebbe riparare il difetto. Con la sorpresa, amara quando la troverà, che i cinesi vi avevano già posto riparo, ma con la constatazione, positiva, che quell'odissea sterminata gli aveva dato una coscienza nuova e non più solo tecnicistica, alimentata dalla scoperta che, date le limitazioni imposte in Cina alle nascite dei bambini, a quella bandiera dove le cinque stelle simboleggiano tanti giusti principi, manca quella di una umanità reale. Questo percorso psicologico Amelio l'ha svolto in due momenti paralleli ma strettamente intrecciati. Uno, il viaggio in una Cina ora supermoderna, ora rurale, ora costellata di bellezze naturali, cui la fotografia splendida di Luca Bigazzi dà risalti magnifici superando, nella descrizione del quotidiano nelle città, perfino quella di Zhang Yimou nella «Storia di Qui Ju». L'altro, tessendo di fili sottilissimi il rapporto via via sempre più diretto fra il protagonista e la sua interprete, madre segreta di un bambino che ha dovuto tener nascosto e che finirà per essere la molla del ripensamento psicologico dell'altro, venuto per riparare una acciaieria e pronto, invece, alla fine, ad occuparsi del semplice giocattolo di quel bambino. Facendo confluire questi due momenti, con il commento delle musiche, sempre suggestive di Franco Piersanti, ingemmate da cori cinesi, in un lunghissimo primo piano del protagonista, prima deluso fino alle lacrime, poi virilmente pacificato e mutato. Sublima questo primo piano, preceduto comunque da altri di vitalità quasi pari, l'interpretazione superba di Sergio Castellitto, mai così intenso, mai così vibrante, mai così fortemente segnato. Al suo fianco, in cifre più semplici, l'esordiente cinese Tai Ling. Gian Luigi Rondi (Il Tempo) |