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Mercoledì 03 Luglio 2024
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LE ROSE DEL DESERTO
Storico
di Mario Monicelli
con Alessandro Haber, Giorgio Pasotti, Michele Placido
102 minuti - Italia 2006

L' unica spia dell' età del regista (novantuno, per la cronaca) è quell' andare diritto al cuore delle cose senza cincischiare, come di chi non ha tempo da perdere e sa benissimo che altri quattro anni per chiudere un film - tanti ne ha impiegati per Le rose del deserto - difficilmente se li potrà permettere. Il resto, la forza, la rabbia, la lucidità, l' intelligenza sono senza età. Ma lasciano davvero ammirati. Monicelli, con l' aiuto per la sceneggiatura di Alessandro Bencivenni e Domenico Saveri, adatta Il deserto della Libia di Mario Tobino e lo intreccia all' episodio del soldato Sanna, da Guerra d' Albania di Giancarlo Fusco, per raccontare gli italiani in guerra e il loro brusco risveglio dai sogni ingannevoli della mitologia fascista. A farne le spese è la sezione sanitaria della divisione Minotauro, accampata in un oasi in pieno deserto Libico ad aspettare che si concluda in poche settimane la «guerra lampo» promessa dal Duce. La realtà si rivelerà ben diversa e Monicelli ce la racconta attraverso le disavventure dei suoi soldati: il maggiore Strucchi (Alessandro Haber) che si rifugia nel mondo tutto letterario del suo amore per la moglie lontana; il tenente Salvi (Giorgio Pasotti) che pensa di potersi comportare come un turista in viaggio, con tanto di Leica a tracolla; il sergente Barzottin (Fulvio Falzarano) a cui tutti scaricano i problemi; il soldato Sanna (Emanuele Spera) che ha ricevuto la cartolina-precetto dopo aver messo incinta una compaesana e non sa cosa fare; il soldato Pilotto (Enzo Marcelli) che ha un peso troppo grande sulla coscienza... A far da controcanto, padre Simeone (Michele Placido, da tempo non così in parte), un domenicano con lo spirito del missionario che insegna ai bambini dell' oasi e che finirà per seguire le peregrinazioni della sezione sanitaria. Tante facce diverse, ognuna col suo dialetto e la sua mimica particolare, quotidiane ma inconfondibili, esaltate da un gran lavoro di casting, dove volti noti si integrano senza problemi con professionisti meno noti. Attraverso di loro, prende forma il ritratto di una nazione obbligata a sopportare disorganizzazione e inettitudine (i pacchi natalizi per gli alpini in Albania mandati in Libia), costretta a subire l' arroganza dell' alleato nazista (l' episodio di Sanna), abbandonata alla farsesca inettitudine dei propri superiori (il generale Pederzoli, pagliaccesca parodia di ogni retorica bellica, reso perfettamente dal non-attore Tatti Sanguineti). A colpire, però, è soprattutto il modo scelto da Monicelli per raccontare un' epopea al contrario che poteva scivolare nella retorica o nella nostalgia. Tagliando ogni possibile fronzolo narrativo, concentrandosi solo su ciò che sembra davvero necessario e ineliminabile, il film evita qualsiasi oleografia e tentazione predicatoria. Non c' è mai tempo per dilungarsi sull' irruzione improvvisa della morte (la fine di Sanna, l' impiccagione dei «traditori»), per sottolineare un possibile effetto melodrammatico (la scomparsa della moglie del maggiore Strucchi), per ribadire la crudezza dalla realtà (la fallimentare avventura «erotica» del tenente Salvi). Certo Monicelli ha fatto di necessità virtù. Probabilmente i pochi mezzi produttivi e le disavventure della lavorazione non permettevano scelte spettacolari, ma non si respira mai l' aria del film «povero» o arrangiato. Magari spesso è stata «buona la prima», ma perché lo era davvero. Solo la musica a tratti pare troppo invasiva. Tutto il resto è bello e convincente, alla faccia di chi pensa che raccontare la guerra sia solo giocare ai soldatini. Se negli ultimi film (Panni sporchi, Facciamo paradiso, Cari fottutissimi amici) Monicelli aveva cercato di aggiornare stancamente la formula della commedia all' italiana, accentuandone certi difetti come il cinismo di comodo o la superficialità mimetica, qui ritrova la forza e la lucidità del vero moralista. E ci chiede di confrontarci con un' idea di popolo che il cinema italiano aveva completamente dimenticato, senza nasconderne l' ignoranza o la vanità, la creduloneria o la piccineria (la triste fine della donna corteggiata dal tenente), ma anche raccontarcene l' allegria e la saggezza e persino il quotidiano eroismo. Oltre che l' umanissima necessità del compromesso, così Strucchi non dubiterà della fedeltà della moglie e Pitocco non scaricherà su altri il peso della sua coscienza. Ma nello stesso tempo non concede sconti al potere, perché sa benissimo che le responsabilità maggiori sono proprio lì. Lasciando al frate e alla sua laicissima religiosità il compito di aiutarci a capire un po' meglio il mondo che ci stava - e che ci sta - intorno.
Paolo Mereghetti (Il Corriere della Sera)
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