Drammatico di Alejandro Gonzalez Iñarritu con Gael García Bernal, Cate Blanchett, Brad Pitt 135 minuti - Usa, Messico 2006
Quattro storie, tre continenti. Alejandro Gonzalez Innaritu conclude cosi la trilogia iniziata con Amores Perros nel 2000 e proseguita due anni dopo con 21 grammi. Irrinunciabili anche qui il fido sceneggiatore Guillermo Arriaga e uno schema narrativo che nelle coincidenze e negli sviluppi paralleli trova ormai forma e sostanza assodate. Da uno sparo esploso da due ragazzini sui monti del deserto marocchino ai danni di una turista americana, ha inizio una serie di eventi che mette in gioco temi quantomai seri, affrontati con piglio serioso. Inarritu, premiato con la Palma d'Oro a Cannes per la miglior regia, fa leva su tutte le possibili ansie generate dalla contemporaneità - terrorismo, incomunicabilità, razzismo, solitudine - per imbastire vicende tutte liminali, che nel caos si generano e solo nel ristretto conforto del nucleo familiare possono levigare le proprie asperità e operare una qualche trasformazione catartica su chi le vive. Un film potente per contenuti e suggestioni visive che non conosce attimi di respiro, dove regia, montaggio, musiche, fotografia concorrono a colmare la percezione dello spettatore fino quasi a stordirla. Protagonisti a diverse latitudini ma legati da relazioni di causa effetto, due fratellini marocchini, una coppia di turisti americani in viaggio esotico (Brad Pitt e Cate Blanchett), la loro tata messicana, l'intensa Adriana Barraza, e una ragazzina sordomuta, la notevole Rinko Kikuchi, a caccia d'amore nel frastuono di Tokyo. Il riferimento biblico contenuto nel titolo fuga ogni dubbio residuo su quali e quanto alte siano le pretese del regista. E se in prima battuta l'intento di narrare delle barriere linguistiche e culturali del nostro tempo venga assecondato aprendo scenari affascinanti, in corso di sviluppo i collegamenti tra le diverse vicende si fanno soprattutto un pretesto meccanico, persino forzato, per narrare le singole storie. Pare quasi che ogni concessione alla leggerezza - l'unica apertura in questo senso è riservata al suo Messico in una inaspettata versione oleografica e stereotipata - per il regista non possa far rima con cinema d'autore. Quello che qui certo traspare, ma che a tratti appare più come un fine che come un mezzo. Claudia Mangano (Il Mucchio Selvaggio)
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