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ELVIS
Biografico
di Baz Luhrmann
con Austin Butler, Tom Hanks, Helen Thomson, Richard Roxburgh
159 minuti - USA 2022

L'inizio è roboante, frenetico, luccicante e anche piuttosto kitsch, a cominciare dai titoli di testa in "oro massiccio". Esattamente quello a cui Baz Luhrmann ci ha sempre abituato, esattamente quello che ci aspettavamo anche da questo Elvis. D'altronde parliamo del regista che in passato aveva preso Shakespeare e Giuseppe Verdi per trasformarli in irresistibili pastiche postmoderni, quindi come sarebbe potuto essere altrimenti con il Re del rock and roll? Va da sé che l'Elvis di Luhrmann non sia un biopic tradizionale, e non prova mai ad esserlo. È invece un tributo all'uomo e all'artista non solo attraverso la sua leggendaria musica ma soprattutto attraverso quel senso di spettacolo e di intrattenimento che da sempre ha caratterizzato la sua carriera, portandolo ad un certo punto ad essere l'artista più famoso e amato al mondo. Proprio questo aspetto, la spettacolarità delle sue performance, gli eccessi che da sempre hanno caratterizzato non solo l'artista ma anche l'incredibile ed esagitata fanbase, è chiaramente l'elemento di maggiore interesse per il regista, che può così ancora una volta dare sfoggio del suo talento visionario e volutamente eccessivo. Lo fa con innumerevoli concerti e sequenze musicali adrenaliniche e colorate, tutte "coreografate" alla perfezione al ritmo di musica. E veniamo quindi al cuore del film, Elvis e la sua musica. Austin Butler è un perfetto Elvis perché non scade mai nella mera imitazione (d'altronde quanti finti Elvis abbiamo visto negli scorsi decenni?) ma al tempo stesso è bravissimo nell'incarnare la sensualità del personaggio, non solo riproducendone i leggendari movimenti di bacino ma a trasmettere tutto il fascino e il carisma che erano propri del personaggio. Se la cava benissimo anche ad interpretare le canzoni immortali che tutti noi conosciamo e leghiamo indissolubilmente alla vera voce di Elvis. Ma va detto che, esattamente com'era lecito aspettarsi da Luhrmann, la colonna sonora non è composta solo da Butler che interpreta Elvis, ma anche da tanti altri gruppi e cantanti recenti (Doja Cat, Eminem, CeeLo Green, Jack White e perfino i Måneskin) che reinterpretano i vecchi classici o comunque li omaggiano con canzoni apposite. Da notare come nel film siano presenti moltissimi momenti legati al gospel o al soul, a confermare l'importanza di quelle influenze per la carriera di Elvis. Luhrmann mette le cose in chiaro fin dall'inizio: questo film è sì su Elvis, ma solo al 50%. L'altra metà, com'è stato d'altronde per i profitti di tutta la sua carriera, spetta al suo manager, il Colonello Tom Parker, l'uomo che nel bene e nel male ha plasmato tutta il suo percorso, portandogli enorme successo e ricchezza ma anche tanto dolore e frustrazione. Il regista, autore anche della sceneggiatura insieme a Sam Bromell, Craig Pearce e Jeremy Doner, non ha alcun dubbio: basandosi anche sui processi tenuti molti anni dopo la morte di Elvis, individua in Parker il vero colpevole della caduta del cantante, non solo da un punto di vista professionale ma anche personale. E lascia che Tom Hanks interpreti il personaggio in modo così spregevole e mefistofelico da risultare quasi caricaturale, proprio per non lasciare alcun dubbio agli spettatori. E non lenire mai l'amore che i fan (di vecchia e nuova data) possono ancora provare per il Re. Elvis Presley, infatti, esce da questo film come assoluto vincitore, ma non solo grazie alle scelte di sceneggiatura o per l'ottima interpretazione di Butler. Elvis conferma il suo carisma unico proprio nei minuti finali, quando Luhrmann sembra quasi mettersi da parte e sceglie di mostrarci immagini di repertorio del vero cantante: è solo in quel momento, per la prima volta nel film, che Elvis è davvero libero - libero dal Colonnello, libero anche da Luhrmann stesso - e può finalmente arrivare ai fan/spettatori per quello che davvero era. Impossibile non emozionarsi, impossibile non rendersi conto del perché fosse davvero un Re.
Luca Liguori
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