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Mercoledì 03 Luglio 2024
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OCCHI BLU
Drammatico
di Michela Cescon
con Valeria Golino, Jean-Hughes Anglade, Ivano de Matteo, Matteo Olivetti, Ludovica Skofic
86 minuti - Italia 2021

Due inquadrature nei primi tre minuti. Il suono di una tromba che accompagna la visione di una Roma notturna, dal sapore metropolitano, e la corsa in moto di una persona il cui volto è nascosto dal casco. Vogliamo iniziare così la nostra recensione di Occhi blu, film che vede Michela Cescon al suo esordio in cabina di regia e con protagonista Valeria Golino. Un film davvero particolare e a suo modo affascinante, capace di inseguire un genere cinematografico di stampo francese, il polar, neologismo che unisce il poliziesco con il noir. Quel che è certo, proprio a partire dai primissimi minuti di film, è di assistere a qualcosa di inedito e sfuggevole dalla cinematografia nostrana. Non solo perché il film gioca con il genere a modo suo, ma ne riduce all'osso tutti gli elementi della scrittura. Il risultato è una creatura che sorprende a causa dell'importanza dello sguardo e del potere espressivo delle immagini, più che della parola: una scelta atipica e tipicamente autoriale, anche se non tutti funziona per il verso giusto. Il commissario Murena (Ivano De Matteo) è nel caos più totale. Da tempo un rapinatore solitario svaligia banche e gioiellerie per poi fuggire a bordo di una moto e svanire nel nulla, nel mezzo delle vie di Roma. Incapace di prevederne le mosse, Murena chiede aiuto a un suo amico, un ex investigatore chiamato Il Francese, celebre per il suo intuito sopraffino. Il Francese cercherà di aiutarlo a risolvere il caso e, soprattutto, a ritrovare una pace interiore ricongiungendosi alla moglie, da cui si era separato dopo la morte della figlia in un incidente stradale. Un lutto non ancora del tutto superato perché, nonostante il suo talento, non è mai riuscito a catturare l'assassino. Nel frattempo, lo spettatore, il cui sguardo è privilegiato, seguirà anche le vicende di Valeria (Valeria Golino) e del suo aiutante Marco: è lei la rapinatrice che Murena e Il Francese stanno cercando. Proprio da queste due storie alternate, le cui vie a poco a poco si incroceranno, nasceranno sfide lungo la strada fino a intraprendere sviluppi imprevedibili. Valeria riuscirà a fuggire ancora una volta? Diviso in sette capitoli, Occhi blu è un film che riduce la trama all'essenziale, lavorando per sottrazione e lasciando che le parole e i dialoghi rimangano centellinati lungo tutta la durata del film. L'esordio di Michela Cescon non dà solo vita a un'opera fortemente autoriale, da pura arthouse, ma a un film che si prefigge il difficile tentativo di raccontare una storia attraverso le pure e semplici immagini. Nei momenti migliori, Occhi blu è un'esperienza davvero cinematografica e immersiva, che chiede allo spettatore lo sforzo di lasciarsi andare e farsi trascinare dal ritmo disteso e dalle sensazioni audiovisive. Nonostante qualche scelta un po' troppo azzardata (alcune sequenze al rallentatore non funzionano quanto dovrebbero e appaiono un po' separate dal contesto), lo stile scelto ben si adatta alla dimensione del genere polar. Non conta l'azione, quanto la sensazione: per quanto gran parte del film sia basato sul movimento e sulla fuga, la macchina da presa rimane sempre un passo indietro, cercando di ricreare un flusso di immagini e suoni, di far percepire il passaggio del tempo, di donare un universo di pura forma. Diventa quindi chiaro che il titolo del film non si riferisce solo alla caratteristica fisica di Valeria, ma descrive anche il film stesso. Michela Cescon sceglie la via più audace e sfrontata, quella capace di mettere a dura prova lo spettatore più generalista, ritrovando la forza dello sguardo. Il cinema diventa quindi una macchina di fantasmagorie, popolata da una Roma deserta composta solo da asfalto e luci. Luci che vogliono scolpire gli esseri umani e gli oggetti anziché illuminarli. La dimensione astratta del film si lega ai fantasmi che tormentano i personaggi (è il caso del lutto del Francese, ma ognuno porta con sé un peso invisibile di cui si deve liberare), presenze che solo lo sguardo dello spettatore può catturare. Ne viene eccessivamente sacrificata la sceneggiatura che, oltre a risultare un po' confusa (il che non è necessariamente un difetto) presenta dei dialoghi un po' troppo caricati che spesso spezzano l'incantesimo ammaliante che il film cerca di mantenere. Si arriva a un fastidioso paradosso per cui la parola è sia un oggetto desiderato che respingente. Una mancanza di equilibrio che frena l'impatto emotivo di questo racconto esistenziale, in cui l'ambiente, il ritmo e la messa in scena contribuiscono a mettere in scena la ricerca di un senso della vita da parte dei protagonisti. Vita che si sprigiona attraverso l'atto del guardare, ma che appare fredda e un po' troppo meccanica. Una moto perfetta, ma senza un motociclista con personalità.
Matteo Maino (Movieplayer.it)
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