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LA VITA CHE VERRA’ - HERSELF
Drammatico
di Phyllida Lloyd
con Clare Dunne, Harriet Walter, Conleth Hill, Ericka Roe, Cathy Belton, Rebecca O'Mara, Ian Lloyd Anderson
97 minuti - Francia 2020

Dalla fusione tra il realismo sociale inglese e lo sguardo femminile nasce un film che parla al cuore e all'anima. La recensione de La vita che verrà - Herself evidenzia la crescita della regista inglese Phyllida Lloyd, al suo terzo lungometraggio dopo Mamma Mia! e The Iron Lady. L'intimità del quotidiano, per la regista, risulta assai più congeniale del divertente, ma caotico e stereotipato, universo del musical e del ritratto politico illustre. Per raccontare il dramma di Sandra, una donna come tante alle prese con un marito violento, Lloyd affina gli strumenti registici realizzando un film intimo, personale, pieno di calore e sentimento. Buona parte del merito della riuscita de La vita che verrà - Herself va alla sua protagonista, l'irlandese Clare Dunne, attrice di teatro responsabile non solo di un'intensa e sentita performance nel ruolo di Sandra, ma anche dell'origine della storia, da lei ideata e scritta in cinque lunghi anni di ricerca e riflessione. Sandra è una moglie e madre che deve fare i conti con un marito violento fino al giorno in cui trova la forza di lasciarlo, prendere le due figlie e andarsene. Senza soldi, lavoro né aiuto da parte della famiglia, che non vede di buon occhio la separazione, Sandra è costretta ad affidarsi al welfare irlandese e ai pochi amici che le restano mentre matura il progetto di costruire una casa tutta per sé e crescere le figlie unicamente con le proprie forze. Storia di lotta e di rinascita, La vita che verrà - Herself è anche un ritratto accurato dell'odierna società irlandese - il film è ambientato a Dublino - visto dagli occhi di una donna sola. Phyllida Lloyd non fa sconti nel mostrare i giudizi malevoli di chi trova sconveniente la scelta di Sandra di lasciare il marito, indipendentemente dalle motivazioni, e l'assenza di solidarietà femminile. Non manca neppure la dimensione di critica sociale "alla Ken Loach": Phyllida Lloyd mostra le pecche nel sistema di assistenza sociale, che interviene poco e male là dove c'è da supportare persone in difficoltà a causa dell'ingente burocrazia e delle regole troppo stringenti. Ma La vita che verrà - Herself è anche un film che celebra la forza interiore e i buoni sentimenti, mostrando una donna che lotta come un leone per proteggere le proprie figlie dal marito e dai morsi della vita. Non mancano le difficoltà, i momenti di cedimento, la sindrome da stress post-traumatico che perseguita Sandra, costretta a scacciare dalla mente il ricordo dei maltrattamenti per non turbare le figlie. Ma nella seconda parte, la storia si fa corale e i buoni sentimenti prendono il sopravvento in una celebrazione della forza della comunità, della generosità e del sostegno reciproco. La casa che Sandra costruisce dal nulla nel terreno messo a disposizione dall'anziana Peggy (Harriet Walter), ex datrice di lavoro della madre e prima persona a offrirle un sostegno concreto, si trasforma in una metafora di rinascita potente anche dal punto di vista visivo. Scalda il cuore vedere Sandra lavorare alacremente a fianco del carpentiere esperto Aido (Conleth Hill), mentre un gruppo di outsider lentamente si unisce a loro lavorando gratis nella parte più ottimista e positiva della storia. La centralità del plot ne La vita che verrà - Herself non impedisce a Phyllida Lloyd di trovare lo spazio per mostrare le doti registiche affinate negli anni, mettendole al servizio della carica emotiva del film. La sequenza d'apertura ottimamente girata, un vero e proprio pugno nello stomaco, mostra il repentino passaggio da un momento di gioia familiare, Sandra che danza e gioca insieme alle due figlie, al terrore generato dall'arrivo a casa del marito (Ian Lloyd Anderson), che aggredisce la moglie prendendola a calci e pugni per punirla. Il tutto sotto lo sguardo terrorizzato della figlia piccola, che assiste alla violenza nascosta nella casetta in giardino, mentre la più grande, che condivide con la madre una parola in codice per le situazioni di allarme, "black widow", corre a chiedere aiuto a un vicino esercizio commerciale. Questa scena sconvolgente serve a trascinare lo spettatore nella storia rendendolo partecipe del dramma di Sandra, ma setta anche l'asticella dell'alto tasso emotivo della storia che punta a coinvolgere, emozionare, ma soprattutto a esplicitare i sentimenti di una moglie e di una madre in una situazione comune, purtroppo, a troppe donne. Se il film aiuterà anche solo una di loro a trovare il coraggio per cambiare la sua situazione avrà svolto egregiamente il suo compito.
Valentina D'Amico (Movieplayer.it)
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