Commedia di Daniel Cohen con Vincent Cassel, Bérénice Bejo, Florence Foresti, François Damiens, Daniel Cohen 104 minuti - Francia 2020
È più importante scrivere un romanzo, o postare su Instagram una foto in cui si sta scrivendo un romanzo? Questo è solo uno dei tanti spunti di cui vi parleremo nella recensione de La felicità degli altri, curioso film francese con Bérénice Bejo e Vincent Cassel in uscita al cinema il 24 giugno. Il film di Daniel Cohen è quella che potremmo definire una commedia antropologica, una storia che fa sorridere ma che ci dice anche molte cose di noi, come si può immaginare dal titolo. La felicità degli altri ci parla della nostra incapacità di gioire per un successo altrui, e, in fondo, per il talento altrui, e di come un successo inaspettato possa cambiare dei rapporti di amicizia, e anche delle relazioni amorose. E prova anche a capire perché tutti noi abbiamo sempre bisogno di esprimerci in qualche forma artistica. e anche di come spesso per noi sia difficile valutare se le nostre siano solo velleità, o se sia vero talento. La felicita degli altri è una commedia brillante, agrodolce, con quattro attori in stato di grazia: accanto a Bérénice Bejo e Vincent Cassel ci sono Florence Foresti e Francois Damiens, due vere rivelazioni.
Lèa (Bérénice Bejo) è un'addetta alle vendite in una raffinata boutique di abbigliamento in un grande centro commerciale di Parigi. La sua abilità nell'osservare e nel capire le persone ne fa una buona venditrice, e così è in procinto di essere promossa come responsabile di un nuovo negozio. Non è mai stata interessata a fare carriera, e, per lei, la felicità sta in quello che ha. Una sera, a cena, confessa al compagno, Marc (Vincent Cassel), e a due amici che sta scrivendo un libro. Un famoso scrittore ha risposto a un suo post incoraggiandola, e ora sembra che proprio la casa editrice che pubblica i libri del romanziere voglia leggere il suo libro. La cosa scatena una serie di reazioni. Karine (Florence Foresti), la sua migliore amica, annuncia immediatamente che anche lei sta scrivendo un libro. Francis (Francois Damiens), il suo compagno, comincia a cercare anche lui la sua espressione artistica. Prima ci prova con una sorta di musica elettronica cantautorale, "un misto tra David Guetta e Leo Ferré", poi ci prova con la scultura, e poi con chissà cos'altro ancora. Karine intanto comincia a fargli leggere qualcosa, ma l'incipit del suo libro è in tutto e per tutto identico a quello de Lo straniero di Camus. In tutto questo, Max sembra quello a cui la cosa interessa meno, ma anche lui, davanti al successo sempre più clamoroso del libro, comincerà a dare segni di insofferenza.
Perché non siamo capaci di gioire per il successo degli altri? L'invidia, chiamiamola così anche se i sentimenti raccontarti ne La felicità degli altri sono molto più sfaccettati, è da sempre nella natura umana, anche se dovrebbe essere affievolita nei confronti delle persone a cui vogliamo bene. Il fatto è che ogni sentimento, e soprattutto uno come l'invidia, sembra oggi esacerbato da una società, quella dei social media, in cui ogni cosa sembra ruotare intorno alla nostra immagine proiettata all'esterno, che è il riflesso del nostro ego. È curioso che, in questa storia, ad avere un'affermazione personale e un vero successo sia proprio la persona a cui sembrava interessare meno, cioè Lèa. La protagonista attraversa tutto, l'affermazione professionale, ma anche la delusione per i rapporti con chi le sta intorno, come se le scivolasse addosso. Per Karine, invece, la scrittura, e poi l'altra passione che sboccia in lei all'improvviso, sembra una questione di vita e di morte. Ma il film analizza anche le dinamiche che possono scattare all'interno di una coppia nel caso una donna abbia più successo dell'uomo.
La felicità degli altri, nata da una pièce teatrale, a sua volta ispirata dalla versione teatrale di Cena tra amici, nasce prima di tutto da un'ottima scrittura. Parte in modo scoppiettante, con una cena a tavola da antologia in cui i nostri quattro protagonisti discutono su un dolce da ordinare (è l'Île flottante, dolce tipico della cucina francese), e man mano si fa più malinconica, amara. Se Lèa, la protagonista, ci piace per come riesce a prendere successi e delusioni, è il personaggio di Karine ad essere quello più attuale. Crea un post su Instagram per reclamare la sua parte di protagonismo, vuole prendersi una parte del successo del romanzo di Lèa, per cui ci tiene a ripetere continuamente che un personaggio del libro, la signora in blu, a pagina 82, lo ha fatto notare lei; ma vuole anche trovare a ogni costo dei difetti ai libri di Lèa, come quando esce il secondo romanzo e deve per forza dire che non è buono. La felicità degli altri ha davvero qualcosa di Cena tra amici (Le Prénom), diventato poi un film anche in Italia, Il nome del figlio, per come una semplice frase scatena un'evoluzione in tutti i personaggi. E ci ha ricordato anche un piccolo gioiello del nostro cinema, un film un po' sottovalutato come Questione di cuore, come Il nome del figlio sempre di Francesca Archibugi, per come si concentra sull'attività dello scrittore (lì era uno sceneggiatore, qui un romanziere), una persona in grado di osservare tic e abitudini delle persone, e di leggerne comportamenti e tratti esteriori delle persone per provare a scrutarne la storia.
Gli attori si gettano in questi personaggi nel migliore dei modi. Bérénice Bejo, nei panni di Lèa, è bravissima nel recitare sempre sottotono, di sottrazione, nel ruolo di chi sa di valere qualcosa, di chi sa chi è davvero e non ha bisogno dell'approvazione degli altri. Se pensiamo al film in cui l'avevamo conosciuta, The Artist, un film muto, dove la sua recitazione era in qualche modo espressionista. capiamo quanto sia versatile questa attrice dal volto delizioso. Accanto a lei, Vincent Cassel è una vera rivelazione: lui sì che ci ha abituato sempre a ruoli estremi, sopra le righe, grintosi. Qui lavora anche lui di sottrazione in una delle sue rare commedie: è per la prima volta un uomo normale e sfoggia un aplomb davvero interessante, e funzionale al ruolo, oltre a ottimi tempi comici. Florence Foresti, attrice comica teatrale, è strepitosa nel ruolo di Karine, ruolo chiave della storia: è invidiosa e acida senza risultare mai antipatica. Anzi, è un personaggio che tutti noi, in qualche modo, possiamo capire. Francois Damiens il suo compagno sul set, è strepitoso anche lui.
Il problema del film è forse un'eccessiva compressione dei fatti. Tutto avviene in modo velocissimo. Lèa annuncia che sta scrivendo un libro e poco dopo è già pubblicato, quando sappiamo che l'iter per la pubblicazione di un esordiente non è affatto semplice, così come è clamoroso il successo immediato di un libro, cosa che oggi accade sempre più di rado. Tutto, in questo film, accade di corsa, di fretta, senza che lo spettatore abbia il tempo di elaborare i fatti che stanno accadendo. La regia mette in scena tutto questo senza ellissi narrative, senza scritte che spieghino che ci troviamo qualche mese dopo, come se tutto accadesse in una cornice atemporale. È chiaro che questo serve al film per costruire la sua natura di parabola, e al regista tutto questo serve per far arrivare il suo messaggio in maniera chiara e precisa, e per far restare il film intorno all'ora e mezza, il tempo giusto per una commedia. In ogni caso, il cinema francese si conferma sempre interessante per come, anche in una commedia, riesce a parlarci molto di noi, e dell'era che stiamo vivendo. E non è cosa da poco.
Maurizio Ermisino (Movieplayer.it) |