Drammatico di Martin Provost con Juliette Binoche, Yolande Moreau, Noémie Lvovsky, Edouard Baer, François Berléand 109 minuti - Francia 2020
Usare il passato recente per raccontare qualcosa del presente. Iniziamo la nostra recensione de La brava moglie da questo punto di partenza, che è anche quello del film francese diretto da Martin Provost e con protagonista Juliette Binoche. Un film che vuole lanciare un messaggio forte verso il mondo femminile (e non solo) di oggi, quello di liberarsi dei vecchi ruoli che la società imponeva loro ed essere fieramente emancipate. Per farlo, ambienta la storia in un istituto femminile, uno dei tanti presenti in Francia all'epoca in cui il film è ambientato, che insegnava alle giovani ragazze come essere delle brave mogli, unendo i toni da commedia con alcuni momenti più drammatici. Una comunione che, benché non innovativa, è capace di attirare l'attenzione di un pubblico molto vasto risultando in gran parte vincente. Perché è chiaro che, con un tema così importante, il film non voglia essere soltanto una semplice commedia, ma qualcosa di più, ed è proprio in questa volontà di elevarsi che La brava moglie, invece, perde gran parte della sua forza.
Si respira già un clima di rivoluzione, che sfocerà poi nel maggio del 1968, in Francia. Eppure, l'Istituto di Economia Domestica Van Der Beck sembra appartenere a un mondo distante e fuori dal presente. Come in migliaia di istituti simili, la direttrice Paulette, coadiuvata dalla cognata Gilberte e dalla suora Marie-Therese, è pronta a insegnare alle nuove allieve, giovani ragazze obbligate dai genitori, le buone maniere e i sette pilastri per diventare una casalinga modello. Bisogna essere servizievole, bisogna pulire e stirare, bisogna rinunciare ai propri bisogni per il proprio uomo. Ma il 1967 è un anno che preannuncia grandi cambiamenti culturali e, a partire da un evento che cambierà radicalmente l'organizzazione dell'Istituto, anche la vita di Paulette e delle allieve subirà un mutamento.
Forse è arrivato il momento in cui le vecchie certezze vengano messe in discussione. Forse questi sette pilastri stanno lentamente crollando. "Non siamo nel medioevo": è questo che risponde Paulette quando inizia a girare voce che l'arrivo di un'allieva dai capelli rossi sia sinonimo di sventura. Eppure, a vedere il modello educativo sia dei genitori delle ragazze (i quali hanno già deciso futuro e marito) che dello stesso personale della scuola, il 1967 non si distingue più di tanto. Occorre quindi uscirne con una presa di coscienza, forte, anche non immediata, ma necessaria. Non per abbracciare il futuro, ma per poter vivere il presente.
Fa uno strano effetto guardare questa commedia pensando che non sono passati nemmeno cinquant'anni dal mondo che mette in scena. Fa strano perché molti di quelli che sembrano degli ostacoli da superare, delle barriere culturali e sociali così ben radicate tra i personaggi del film, oggi ci sembrano scontati. I momenti migliori del film avvengono proprio quando a ciò che per noi, pubblico del 2021, appare ovvio si contrappone quest'educazione severa e d'altri tempi che dovrebbe formare le ragazze. È qui che il film riesce a coinvolgere, riesce a instaurare un dialogo con gli spettatori e riesce persino a far loro accettare altre tematiche che ancora oggi sono argomenti di lotta (come l'amore omosessuale).
Quando, però, questa fiducia nello spettatore viene a mancare si sceglie la via più scontata e poco originale, ovvero quella di ribadire e sottolineare i concetti principali del film. Esempi li possiamo trovare nella didascalia iniziale che apre il film, che funge da prologo ma che al suo interno contiene già la chiave di lettura dell'intera opera, o in alcune storyline secondarie che sembrano un'aggiunta non troppo originale alle vicende che davvero formerebbero il cuore del film. Proprio nel finale il film si lascia andare a una lunga scena che stona rispetto al tono di tutto ciò che l'ha preceduto. È un momento davvero didascalico in cui il film vorrebbe educare lo spettatore allo stesso modo delle insegnanti dell'istituto ma il risultato non riesce a dare forza a quel grido di libertà sentito.
Colpa di una regia che non ha guizzi stilistici, preferendo la chiarezza e la semplicità, ma che non riesce nemmeno a trovare quell'occhio di riguardo verso l'argomento. Il film funziona molto meglio quando vuole essere una commedia che mette alla berlina le concezioni di un vecchio mondo che quando vuole sottolineare il proprio impegno culturale. L'occhio di Martin Provost non è uno sguardo femminile capace di elevare la materia, di scavare all'interno dei personaggi e, quindi, di tracciare quel capovolgimento che stanno provando. Il risultato è qualcosa che sembra rimanere in superficie anche se fa di tutto per sembrare profondo. Il punto di forza del film è senza dubbio nel variegato cast a cui Juliette Binoche fa da apripista. L'attrice, grazie al linguaggio del corpo, riesce a mettere in scena il cambiamento di Paulette, da donna rigida e fedele alle proprie lezioni a donna che, a poco a poco, scopre il bisogno di rompere quella gabbia in cui non solo vive, ma che insegna pure. Se Noémie Lvovsky e Yolande Moreau sono delle ottime spalle comiche, non possiamo non citare alcune delle ragazze protagoniste come Marie Zabukovec, Lily Taieb e Anamaria Vartolomei. È in loro che si percepisce davvero il cambiamento in arrivo. In loro il film è capace di mettere in scena, con estrema naturalezza, il ritratto di un'evoluzione in arrivo. Peccato non essersi concentrati di più sulle loro storie, sui loro fuochi e sulle nuove generazioni.
Matteo Maino (Movieplayer.it) |