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ALADDIN
Avventura
di Guy Ritchie
con Will Smith, Gigi Proietti, Mena Massoud, Naomi Scott, Billy Magnussen
128 minuti - USA 2019

Per rendere la recensione di Aladdin più onesta e sincera possibile, dobbiamo liberarci immediatamente di un peso: ci aspettavamo il peggio da questo remake 2019 del classico Disney. Dopo la recente delusione di Dumbo, preceduta da quella per La Bella e la Bestia e Alice nel paese delle meraviglie, anzi, qui si parla di vero e proprio imbarazzo (qualcuno ha detto deliranza?!), le nostre aspettative per l'Aladdin di Guy Ritchie erano prossime allo zero. Di più: dopo aver visto il primo trailer del film erano addirittura negative. E invece, pur non toccando vette altissime, questo live action è (fino a ora), insieme a Cenerentola di Kenneth Branagh e Il libro della giungla di Jon Favreau, il più riuscito. Togliamoci il secondo peso: chi scrive non ama questa smania di Disney di realizzare remake fotocopia dei propri film animati. Capolavori immortali, i classici Disney, in particolare quelli degli anni '90, hanno segnato generazioni di bambini, che a loro volta li hanno fatti vedere ai propri figli. Quelle immagini sono un patrimonio collettivo, fanno parte della nostra cultura, ci sono quasi entrati nel DNA (alla centesima visione di La sirenetta la mutazione è automatica). È normale quindi che chi è cresciuto con Sebastian, Abu e Simba storca il naso di fronte alla riproduzione scena per scena degli amici della sua infanzia: per quanto evoluta, la computer grafica non ha il calore e la morbidezza dei disegni fatti a mano. Inoltre, con il passaggio dai colori brillanti del passato alla patina scura che caratterizza tutti i remake in live action della Disney visti fino a ora, compreso Aladdin, si è persa la magia. Nonostante questo, stanno tutti facendo sfracelli al botteghino. Il cinema è un'industria e quindi, per quanto la nostra infanzia si ribelli, sarebbe da sciocchi non capire che il principale motivo alla base di questi film sia il ritorno economico. Metabolizzata questa idea, resta quindi solo una cosa da fare: vedere come il regista scelto per ogni singola pellicola riesca a bilanciare il proprio stile con quello del film di partenza. Sulla carta ogni abbinamento fatto fino a questo momento è perfetto: Alice in Wonderland e Dumbo gridavano Tim Burton, Cenerentola e Kenneth Branagh è un binomio perfetto e, viste le acrobazie di Aladdin nel mercato di Agrabah, chi meglio di Guy Ritchie poteva far rivivere sul grande schermo la sua energia? Il problema però è che se da un lato Disney sceglie registi con una forte personalità e un'idea di cinema precisa per i propri live action, dall'altra sembra comunque vincolarli molto: fino ad ora soltanto Branagh era riuscito a non farsi schiacciare dall'originale (anche grazie alla bravura di Lily James, una delle star emergenti della sua generazione). Con la scelta di Will Smith nel ruolo del Genio, che raccoglie il testimone di Robin Williams (da noi doppiato da Gigi Proietti), tutto sembrava già scritto: un one man show con figurine sbiadite a fare da contorno. E invece abbiamo dovuto ricrederci. Will Smith è un attore intelligente, molto consapevole di se stesso e della propria carriera: ha quindi avuto l'accortezza di non cercare di imitare il lavoro fatto da Robin Williams, inarrivabile, facendo l'unica cosa possibile, cambiare completamente il personaggio e farlo suo. Dalla verve straripante, da stand-up comedy, dell'originale si è quindi passati a un Genio molto più cool, fusione di due dei personaggi più amati di Smith, Willy, Il Principe di Bel Air e Hitch, a cui si ha aggiunto il senso del ritmo e la voce profonda. Il risultato è convincente e, per fortuna, l'attore ha fatto anche un'altra mossa consapevole: non ha soffocato il film con la propria presenza. Il Genio è in scena il giusto, arriva come una forza della natura che cattura immediatamente l'attenzione, ma sa quando lasciare spazio alle sue due giovani co-star: nel ruolo del ladro Aladdin e della principessa Jasmine, figlia del sultano di Agrabah che non vuole sposarsi solo per ereditare il trono, ci sono due attori emergenti, perfetti per il ruolo, Mena Massoud e Naomi Scott. Sono loro l'anima pura e romantica del film: appartenenti a due mondi completamente diversi, scoprono di avere un animo molto simile, desideroso di giustizia e libertà. La colonna sonora è sempre quella indimenticabile di Alan Menken, ma, rispetto al cartone del 1992, c'è un brano in più: Speachless, cantato da Naomi Scott nella scena più importante con protagonista Jasmine. È proprio la principessa a distaccarsi maggiormente dalla sua versione animata: se la Jasmine anni '90 si ribellava al padre perché voleva sposarsi per amore, quella del 2019 non vuole sposarsi affatto, ma aspira a diventare essa stessa sultano. Un bel passo in avanti. Aladdin allora non diventa il suo salvatore, ma un protagonista alla pari che, anzi, deve dare il meglio di sé per tenere testa a una principessa così determinata e ambiziosa. L'unico personaggio che veramente ha perso smalto con gli anni è Jafar: interpretato da Marwan Kenzari (troppo giovane per il ruolo: pensate a quanto sarebbe stato perfetto Ben Kingsley), è lui l'anello debole del film. Un cattivo che non è mai una reale minaccia e finisce per sparire di fronte al carisma degli altri protagonisti. A non scomparire per fortuna è anche l'impronta di Guy Ritchie: la fuga di Aladdin dalle guardie reali ricorda una sessione di parkour, i numerosi rallenty e le scene di ballo hanno impresse dappertutto il marchio del regista inglese. Nonostante le scenografie e i costumi eccessivamente kitsch e la presenza troppo ridotta di Iago (il Tappeto e Abu invece sono meravigliosi), questo Aladdin guadagna a sorpresa il titolo di miglior live action realizzato da Disney.
Valentina Ariete (Movieplayer.it)
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