Parrocchia S.Stefano
di Osnago
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Arte di Dorota Kobiela e Hugh Welchman con Aidan Turner, Helen McCrory, Saoirse Ronan, Douglas Booth, Jerome Flynn 95 minuti - Gran Bretagna, Polonia 2016
Da anni critici, registi e cinefili stessi ci ripetono che il cinema è morto. Il successo delle serie televisive a discapito delle sale, sempre meno frequentate anche quando è il turno di film attesissimi come Blade Runner 2049, non fa che avallare questa teoria. Talvolta accade invece di ammirare ancora il talento e la voglia di sperimentare di giovani registi. È il caso di Loving Vincent, un progetto nato come un piccolo cortometraggio finanziato tramite crowdfunding che si è trasformato in un film capace di penetrare il mistero dell'arte e della vita di Vincent van Gogh attraverso un percorso inedito e straordinariamente affascinante. Scritto e diretto da Dorota Kobiela e Hugh Welchman, Loving Vincent prende il via dai giorni che seguirono la morte dell'artista olandese nel tentativo di rivelarne il tormento interiore e quel genio creativo che lo portò a realizzare in appena dieci anni di attività alcuni tra i più celebri capolavori dell'arte moderna. La peculiarità del film risiede nelle migliaia di immagini che lo compongono, dipinte da un team di 125 artisti che hanno ricalcato il suo stile.
Molto interessante anche la scelta sul piano narrativo. Loving Vincent non è un biopic canonico. La storia prende il via nell'estate del 1891 quando un giovane di nome Armand Roulin (Douglas Booth) viene incaricato dal padre, il postino Joseph, di consegnare l'ultima lettera di Van Gogh (Robert Gulaczyk) all'amatissimo fratello Theo, cui scriveva di frequente. Armand parte per Parigi contrariato poiché non nutre una grande considerazione nei confronti del pittore, che giudica male per un macabro episodio che lo vide protagonista. In seguito alla dipartita del collega Gaugain a causa dell'ennesima lite furibonda, Van Gogh si tagliò un orecchio e lo inviò ad una prostituta. All'atto di follia seguì un suo breve internamento in un manicomio locale. Ma dopo aver scoperto che Theo Van Gogh è morto poco dopo il fratello, cui era legatissimo, Armand si appassiona sempre più alla sua storia fino a giungere al piccolo villaggio di Auvers-sur-Oise, dove Vincent trascorse le sue ultime settimane di vita.
Attraverso le testimonianze delle persone che l'hanno accompagnato, compreso o incompreso, nei momenti finali della sua esistenza, ci inoltriamo nella conoscenza di un uomo la cui sofferenza rimane intima, misteriosa e quasi sempre impenetrabile. Un'operazione completamente diversa da quella di Vincente Minnelli in Brama di vivere (con Kirk Douglas nei panni di van Gogh) o quella di Robert Altman in Vincent & Theo (con Tim Roth e Paul Rhys).
In Loving Vincent il pittore rimane una presenza elusiva, specie quando il film assume sempre più le sembianze di un giallo indagando sulla sua morte che potrebbe non essere stata un suicidio come riportato sui libri di storia. Un quesito interessante così come lo sono quelli che si pongono tutte le persone che hanno avuto il privilegio di incontrarlo. Forse non sufficienti a sostenere l'intera durata del film. Scomparsa la sorpresa e abituato lo sguardo dello spettatore alle sue immagini, per quanto innovative, rimangono il fascino e l'amore per l'arte. In ogni caso da non perdere.
Rosa Maiuccaro (Movieplayer.it) |
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