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L'ATELIER
Drammatico
di Laurent Cantet
con Marina Foïs, Matthieu Lucci, Warda Rammach, Issam Talbi, Florian Beaujean
114 minuti - Francia 2017

Olivia (Marina Foïs), nota autrice di romanzi noir, viene ingaggiata per recarsi nella cittadina costiera de La Ciotat, in Occitania, e tenere un laboratorio di scrittura creativa aperto a un ristretto numero di studenti: l'obiettivo è l'elaborazione di un libro giallo, frutto di un lavoro collettivo sotto la guida della donna. Ma mentre i partecipanti si lanciano in accese discussioni sulla narratologia e sui canoni del genere poliziesco, l'armonia del gruppo inizia a poco a poco ad incrinarsi. A turbare gli equilibri, in particolare, è Antoine (Matthieu Lucci), il più talentuoso fra gli iscritti al workshop, ma anche quello dall'atteggiamento più ambiguo e provocatorio, animato da un "lato oscuro" che Olivia percepisce con sempre maggior evidenza. E con l'acuirsi delle tensioni - sociali, razziali, psicologiche - all'interno della classe, Olivia avvertirà la situazione sfuggirle di mano prendendo pieghe impreviste... Fra i talenti emergenti del cinema d'autore a cavallo fra vecchio e nuovo millennio, nel 2008 Laurent Cantet si guadagnava gli onori delle cronache festivalieri grazie al suo film più noto, La classe - Entre les murs: un autentico fenomeno in patria, ricompensato prima con la Palma d'Oro a Cannes e poi con una candidatura all'Oscar. Cantet, che ne La classe delineva un ritratto della composita società francese degli anni Duemila, non avrebbe riscosso però altrettanta fortuna con i suoi lavori successivi, passati pressoché inosservati: Foxfire - Ragazze cattive, seconda trasposizione del romanzo di Joyce Carol Oates, e il malinconico e sottovalutato Ritorno a L'Avana. L'atelier, scritto a quattro mani con uno dei suoi più fedeli collaboratori, Robin Campillo (120 battiti al minuto), sembra riportare Cantet nei territori de La classe, con un presupposto analogo che, tuttavia, si inoltra ben presto su differenti traiettorie. Presentato al Festival di Cannes 2017 nella sezione Un Certain Regard, L'atelier è incentrato sull'esperienza di un altro rapporto didattico, quello che si instaura fra Olivia e i giovani partecipanti al suo workshop. L'esigenza di confrontarsi con i codici e gli stilemi del romanzo giallo, illustrati da Olivia con scrupolosa aderenza alle regole, si intreccia con il retroterra de La Ciotat, con i suoi storici cantieri navali, scenario di un quadro sociale non privo di difficoltà e legato ad un intenso carico di nostalgia: una valorizzazione del passato che si manifesta in alcuni tentativi di scrittura degli studenti di Olivia, un gruppo eterogeneo in cui non mancano frizioni e motivi di scontro, accentuati dal trauma nazionale del massacro del Bataclan. Fin quando ad emergere, fra gli allievi di questo atelier letterario, è la figura di Antoine, capace di suscitare nella propria insegnante un amalgama di curiosità repressa e di sotterraneo, indefinibile turbamento. In un film denso e stratificato, che riserva una pluralità di suggestioni e di motivi d'interesse, è proprio Antoine che, a poco a poco, si conquista sempre più il centro della scena, trasformando il meccanismo corale della prima parte de L'atelier in una sorta di silenzioso braccio di ferro tra maestra ed allievo. Il ragazzo, che sullo schermo è reso con la giusta mistura di ambiguità e di sfrontatezza dall'ottimo esordiente Matthieu Lucci, lascia trapelare molteplici aspetti: l'insofferenza via via più evidente nei confronti dei propri compagni; la fascinazione ma anche lo scetticismo provati nei confronti di Olivia; una propensione per la violenza che Antoine lascia confluire in impulsi razzisti e xenofobi, ma la cui origine probabilmente si annida al di fuori delle ideologie reazionarie assorbite dal web e dai compagni di scorribande; il rifugio nella scrittura come estremo - e salvifico? - veicolo di espressione del sé. Ne L'atelier, in sostanza, si può individuare una vastissima fucina di idee, di spunti e di possibili percorsi, rispetto ai quali però Cantet e Campillo rivelano più di un'incertezza, oscillando tra l'affresco psicologico e quello socio-culturale, tra la riflessione sulla maiuetica e le sfumature da thriller (inclusa, verso il finale, una poderosa sequenza sulla scogliera, sotto la luce della luna). Quel che ne risulta è un film tanto stimolante, quanto in definitiva - e forse volutamente - irrisolto, e in cui è la protagonista stessa che, nonostante la valida interpretazione di Marina Foïs, fatica ad imporsi del tutto sul giovane comprimario: perché la sua Olivia, del resto, si dimostra una testimone attenta ma spesso passiva di fermenti e inquietudini che non è in grado di cogliere fino in fondo, o a cui magari non ha la sufficiente volontà di opporsi o di provare ad offrire una risposta.
Stefano Lo Verme (Movieplayer.it)
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