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X-MEN - Giorni di un futuro passato
Azione
di Bryan Singer
con Hugh Jackman, James McAvoy, Michael Fassbender, Jennifer Lawrence, Halle Berry
130 minuti - USA 2014

Tra i vari franchise super-eroistici che hanno affollato gli schermi nell'ultimo decennio, quello dedicato agli X-Men è stato finora il più longevo. Ai mutanti Marvel, portati per la prima volta sullo schermo da Bryan Singer nel 2000, sono stati infatti dedicati finora sette film: tre episodi di quella che può essere definita la serie "regolare", i due spin-off dedicati al personaggio di Wolverine, il prequel del 2011 X-Men: l'inizio (che ha anche i tratti di un reboot) e ora questo nuovo X-Men: Giorni di un futuro passato. Un successo che merita qualche riflessione, considerato il posto in fondo non di primissimo piano occupato dai personaggi all'interno dell'universo Marvel (la popolarità dei vari Spider-Man, e degli eroi che compongono il gruppo dei Vendicatori è sicuramente superiore); legato, probabilmente, al potenziale cinematografico del soggetto, al suo fare riferimento a temi quali la diversità e l'emarginazione sociale, e alla sua intrinseca problematicità nell'esplorare le "zone d'ombra" dei personaggi; quell'assenza di manicheismo che (caratteristica rara in una saga di supereroi) mette in luce i lati oscuri dei personaggi positivi e le ragioni dei villain. Con il prequel di tre anni fa, comunque, la saga sembrava avviata ad esplorare il passato dei personaggi, con un nuovo gruppo di attori (guidato da James McAvoy e Michael Fassbender, versioni giovani rispettivamente del Professor X e di Magneto) e un setting saldamente fissato agli anni successivi alla formazione dei due gruppi antagonisti. A sorpresa, invece, questo nuovo episodio funge da sequel sia per la trilogia originale, sia per il film del 2011: la scelta di ispirarsi all'omonimo fumetto, incentrato sui viaggi nel tempo, ha permesso a Singer (nuovamente in cabina di regia) e agli sceneggiatori di unire le due storyline e i rispettivi protagonisti. Il plot ha inizio in un futuro successivo agli eventi del recente Wolverine: L'immortale: i mutanti sono braccati e sull'orlo dell'estinzione, fatti oggetto di una guerra scatenata dagli umani attraverso le letali Sentinelle. Queste ultime sono robot costruiti con il preciso scopo di eliminare i mutanti: il loro progetto fu elaborato negli anni '70 da Bolivar Trask, un antropologo convinto della minaccia rappresentata dai mutanti, e della necessità di eliminarli. Fu proprio un fallito attentato subito da Trask a convincere il governo della giustezza delle sue tesi, e della necessità di dare il via libera al suo progetto; questo avrebbe innescato gli eventi che avrebbero portato, nel giro di alcuni decenni, alla guerra e alla quasi certa estinzione dei mutanti. Il Professor X e Magneto, tornati a combattere fianco a fianco, hanno intenzione di modificare il presente agendo sul passato: grazie all'aiuto della mutante Kitty Pride, i due riescono a spedire la coscienza di Logan/Wolverine nel suo corpo del passato, con lo scopo di impedire l'attentato e modificare così il corso della storia. Logan, unico mutante che per le sue caratteristiche fisiche è in grado di affrontare un viaggio tanto rischioso, dovrà farsi aiutare da uno Xavier giovane, disilluso e poco consapevole del suo futuro ruolo, e da un Eric/Magneto attualmente rinchiuso in un carcere di massima sicurezza posto sotto il Pentagono. La missione dei tre è quella di fermare la futura autrice dell'attentato: quella Raven/Mystica in passato amata tanto da Xavier, quanto da Eric, e che ha rappresentato una delle ragioni della loro discordia. Basta leggere il plot di questo X-Men: Giorni di un futuro passato per rendersi conto che l'operazione compiuta da Singer (già tornato alla saga nel film precedente nelle vesti di ideatore e produttore) è concettualmente molto simile a quella che fece J.J. Abrams nel suo riavvio del 2009 della saga di Star Trek. Come il film di Abrams, questa nuova pellicola mescola infatti passato e presente, ma soprattutto sfrutta lo stratagemma del viaggio nel tempo per intervenire, diegeticamente, sugli eventi già narrati in opere passate (lì si trattava della serie televisiva storica, qui dei film della trilogia originale). Lo scopo è, di nuovo, quello di azzerare del tutto le premesse di una saga, rendendo compatibile la logica del reboot, e quindi di una narrazione di eventi non necessariamente coerenti con quanto raccontato in passato, con quella della continuity e, non ultimo, col sentimento di affetto che inevitabilmente lega gli spettatori ai personaggi. Serialità e replica si legano indissolubilmente, quindi, ibridandosi a vicenda. In questo senso, lo spettatore della serie iniziata nel 2000 sarà ben felice di ritrovare i volti di Patrick Stewart e Ian McKellen (rispettivamente Xavier e Magneto, loro stessi dichiaratisi stupiti e felici di poter riprendere i loro ruoli), quello di Hugh Jackman nel ruolo di Wolverine, quelli di Halle Berry ed Ellen Page che interpretano rispettivamente Tempesta e Kitty Pride, e quelli degli altri personaggi che hanno animato i tre film originali. Le due timeline vengono gestite dalla sceneggiatura in modo parallelo, col personaggio interpretato da Jackman a fare da trait d'union: è notevole (ed emotivamente d'impatto) rilevare la differenza tra le versioni giovani dei personaggi, prese nel vortice di uno scontro di cui non riescono a cogliere le conseguenze, e quelle del presente, arrivate a una "saggezza" raggiunta troppo tardi. Se lo scarto colpisce nel caso dello Xavier di McAvoy e Stewart, diventa addirittura (positivamente) dirompente quando evidenzia la differenza tra il Magneto interpretato da Fassbender, roso dall'odio e con una luce folle negli occhi, e quello col volto segnato dalle rughe, prossimo alla resa, impersonato da McKellen. Diretto con mano sicura da Singer, subentrato al Matthew Vaughn del film precedente (qui solo co-autore del soggetto), Giorni di un futuro passato ha tutto ciò che ci si aspetta da un film dedicato agli X-Men. Di nuovo, colpisce nel segno l'approccio complesso, tutt'altro che scontato in un film pensato in un'ottica di largo consumo, al tema della diversità; la presentazione dei protagonisti come reietti e outsider in una società (quella degli anni '70) che vedeva convivere spinte progressiste e reazionarie. Personaggi, tuttavia, esplorati a fondo nei rispettivi caratteri, mai dipinti come bidimensionali emblemi di una riscossa degli emarginati: di nuovo non si riesce, fino in fondo, ad esprimere sentimenti di condanna per le azioni del Magneto di Fassbender (costantemente contrappuntato dal suo alter-ego anziano col volto di McKellen); già pericoloso killer ma non ancora lo stragista, privo di sentimenti, che abbiamo imparato a conoscere nei film precedenti. Come per il precedente X-Men: L'inizio, gli sceneggiatori fanno un ottimo lavoro nell'integrare l'universo dei personaggi in alcuni degli snodi fondamentali della storia contemporanea, creando un'ibridazione coerente e credibile: se lì era la crisi dei missili di Cuba ad essere riletta attraverso la mitologia della saga, qui vengono affrontati l'assassinio di Kennedy e la guerra del Vietnam. Funziona benissimo, e risulta del tutto coerente con gli intenti del film, anche il Bolivar Trask interpretato da Peter Dinklage; con una piccola forzatura, Singer ha sottratto il personaggio al suo interprete precedente (l'afroamericano Bill Duke), trasformandolo in un meschino politico affetto da nanismo, facendogli guadagnare in potenziale scenico e rendendolo, in fondo, il vero villain del film. Un film riuscito, che porta a compimento l'operazione di contaminazione tra le varie forme di replica (reboot, sequel, prequel) già sperimentata nel capitolo precedente. Il ritmo non manca, le sorprese, nell'alternanza dei piani temporali, neppure. Difficile, nello specifico, chiedere di più: e il franchise (come annunciato nell'immancabile post-finale dopo i titoli di coda) sembra ancora ben lontano dall'essersi concluso.
Marco Minniti (Movieplayer.it)
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