Drammatico di Marco Bellocchio con Michela Cescon, Giovanna Mezzogiorno, Fausto Russo Alesi, Filippo Timi 128 minuti - Italia 2009
Due Mussolini, uno vero e uno finto, ma spesso sorprendente grazie a un Filippo Timi sulfureo e perfino simpatico. Due parti, una dedicata alla "preistoria" del duce, prima e durante la Prima guerra mondiale, una al tiranno trionfante. Due vittime, Ida Dalser e suo figlio Benito Albino Mussolini, il figlio avuto dal Duce, prima riconosciuto poi disconosciuto, perseguitati, cancellati, internati in manicomio fino alla morte, lei nel 1937, lui nel 1942. E naturalmente due epoche: quella narrata dal film e la nostra, che scorre in filigrana dietro i riferimenti e le citazioni dirette dall'arte, dal cinema, dalla propaganda degli anni Dieci e Venti.
Se ogni film in costume parla anche e soprattutto del momento storico che lo ha visto nascere, Vincere porta questo procedimento all'estremo. Ogni immagine (la foto sapientissima è di Daniele Ciprì) è densa e stratificata come una pittura che nasconde e accoglie altre stesure. Ma non è gusto della citazione o della rilettura di un'epoca attraverso i segni del tempo, procedimento che potrebbe perfino essere accademico. È confronto, ricerca, officina formale, analisi storica e politica. Come se la vicenda così esemplare ma fino a ieri dimenticata di Ida Dalser, ricostruita con andatura quasi a strappi dalla sceneggiatura antinaturalistica di Bellocchio e Daniela Ceselli, riflettesse in qualche modo la parabola di una nazione intera.
Non la storia "ufficiale", ma quella sotterranea di un paese che non si ama e ha il culto cattolicissimo del proibito, del clandestino, nel pubblico come nel privato. Quindi è pronto a farsi sedurre, a perdonarsi e a dimenticare, come un bambino che sostituisce la fantasia alla realtà, la promessa del piacere alla certezza del dovere. E magari passa la vita a illudersi, salvo svegliarsi quando è troppo tardi.
Vecchia storia, si dirà, che però non abbiamo ancora metabolizzato e che Vincere ripropone mettendo al centro di tutto una donna, il suo piacere, la sua "follia" (bellissime le scene d'amore fra Giovanna Mezzogiorno, tutta rapimento e abbandono, e Filippo Timi, che anche nell'amplesso sbarra lo sguardo verso chissà dove). E intorno, italianamente, tutta una serie di famiglie, oppressive e inevitabili, provvide e castranti. La famiglia di Ida, che cerca di proteggerla dal suo sogno impossibile. Quella ufficiale di Mussolini, tirapiedi compresi, che sbarra il passo all'amante respinta. Quelle dei medici, delle infermiere, delle altre matte, che sono tutto ciò che resta alla povera Dalser nei suoi anni di internamento. Mentre fuori, nel mondo reale, Mussolini abbindola un'intera nazione con le pose grottesche del suo virilismo guerriero.
Sarebbe stato facile trarre da questa storia un melodramma rotondo e straziante, insistendo sulla spaventosa persecuzione subita dalla Dalser e da suo figlio. Bellocchio ne fa qualcosa di più maturo e scomodo. Uno scavo, un confronto, forse una genealogia.
Fabio Ferzetti (Il Messaggero)
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