Thriller - V.M. 14 di Niels Arden Oplev con Peter Haber, Michael Nyqvist, Noomi Rapace 152 minuti - Danimarca, Svezia 2009
Avvertenza metodologica: questo film può essere gustato perfettamente anche da chi non ha letto nemmeno una pagina della fin troppo celebre trilogia Millennium, quella che comincia appunto con Uomini che odiano le donne, appena portato sugli schermi dal regista danese Niels Arden Oplev. Anzi, a ignorare del tutto la trama, forse si finisce per gustarlo di più, senza farsi prendere dal perverso giochino delle corrispondenze più o meno mantenute tra pagina scritta e schermo (argomento su cui si è già espresso sulla pagine del nostro Magazine Antonio D' Orrico, e su cui ha apposto la sua definitiva sentenza: sì, il film rispetta perfettamente il romanzo, anche se «raffredda» l' attività sessuale del protagonista. Ipse dixit). Da spettatore, penso di poter aggiungere che il film, sceneggiato da Nikolaj Arcel e Rasmus Heisterberg, nonostante la sua lunghezza eccezionale (2 ore e mezza) tiene inchiodata l' attenzione fino alla fine per merito di uno stratagemma non nuovissimo ma quasi sempre efficace: moltiplica le piste e finisce quasi per lasciare in sottofondo la domanda centrale (che fine ha fatto Harriet Vanger??), facendo emergere man mano che la storia procede altri temi e altre ragioni d' interesse. E riuscendo così a tenere sempre desta la curiosità di chi guarda. L' ossatura della storia è quella che segue le peripezie di Mikael Blomkvist (l' attore di formazione teatrale Michael Nyqvist), arrembante direttore della rivista d' opposizione Millennium, di cui facciamo la conoscenza proprio il giorno in cui un tribunale lo condanna per diffamazione: le rivelazioni che ha pubblicato sui loschi traffici di un industriale si sono rivelate infondate. Questa condanna, però, non impedisce al vecchio patriarca della ricchissima famiglia Vanger, Henrik (Sven-Bertil Taubel), di ingaggiarlo per scoprire chi avrebbe ucciso quarant' anni prima la sua amata nipote Harriet e che - per disprezzo? per sfida? - si ostina ogni anno a fargli recapitare nel giorno del compleanno della ragazza un fiore secco incorniciato. Quarant' anni dal presunto delitto sono tanti, la polizia locale non ricorda praticamente niente e il resto della famiglia, che curiosamente vive tutta arroccata in un' isoletta dove anche Blomkvist è costretto a trasferirsi, non vede di buon' occhio l' inchiesta. Anche perché Henrik Vanger è convinto che il responsabile del delitto si nasconda proprio tra di loro. Per fortuna, ad aiutarlo, entra in campo una misteriosa hacker, Lisbeth Salander (Noomi Rapace), incaricata dai Vanger di scoprire i possibili punti deboli di Blomkvist ma poi decisa a schierarsi al suo fianco. E qui il film ha la prima «biforcazione» perché mentre Mikael indaga, noi scopriamo anche la grama vita di questa ragazza, costretta per legge ad avere un tutore (perché i lettori lo scoprirono nel secondo libro della serie, «La ragazza che giocava con il fuoco», mentre gli spettatori lo sapranno verso la fine di questo film), tutore che pensa bene di poter approfittare del potere che gli è stato attribuito, costringendo Lisbeth a soddisfare le sue perverse voglie sessuali. La seconda «biforcazione» della storia è innescata dalle indagine che Mikael e Lisbeth conducono contro tutti e contro tutto, portando pian piano a galla una serie di delitti a sfondo religioso-sessuale che la polizia ha pensato bene di archiviare e che invece i nostri due eroi riescono, non senza pericoli personali, a risolvere. Con la sparizione di Harriet c' entrano fino a un certo punto, ma sono fondamentali per capire il senso del titolo del film (e del libro, naturalmente) e per spiegare come il comportamento del tutore di Lisbeth non sia così eccezionale... La soluzione finale del giallo su Harriet (forse la cosa meno interessante di tutto il film) la lascio naturalmente alla pazienza e all' intuizione dello spettatore. Va solo aggiunto che, come nei gialli che si rispettino, la forza di fascinazione non nasce dalla inesorabilità e dalla consequenzialità della trama, ma piuttosto dal sapiente equilibrio tra qualità magari divergenti, come i nodi di vipere che si nascondo all' interno della ricca borghesia svedese e la moralità e generosità di chi invece è additato come un «ribelle» o un outsider; la bellezza dei paesaggi e la cupezza della società; l' onestà dei semplici e la corruzione dei ricchi... Niente di rivoluzionario, per carità. Ma funziona. E a un giallo cinematografico raramente, oggi, possiamo chiedere di più.
Paolo Mereghetti (Corriere della Sera)
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