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CHE - L'ARGENTINO
Biografico
di Steven Soderbergh
con Benicio Del Toro, Franka Potente, Rodrigo Santoro
131 minuti - USA, Spagna, Francia 2008

«Che», il riuscito film di Soderbergh, racconta la vita di Guevara e la sua esperienza cubana, senza ricorrere all'epica o all'ideologia. Non c'è rivoluzionario se non c'è amore. Così dice Ernesto Guevara de la Serna ( Benicio Del Toro) in Che: L'argentino (Che: Part One, Usa, Francia e Spagna, 2008, 126'), prima metà del lungo film che Steven Soderbergh e lo sceneggiatore Peter Buchman hanno tratto dal diario che egli stesso scrisse alla macchia in Bolivia, nell'ultimo capitolo della sua esistenza breve. Catturato l'8 ottobre del 1967 a La Higuera dall'esercito regolare assistito da agenti della Cia, il Che venne ucciso il giorno dopo: mutilato alle caviglie e ai polsi, il suo cadavere fu esposto al pubblico a Vallegrande, la città capoluogo. Essendo nato a Rosario, in Argentina, il 14 giugno del 1928, aveva compiuto da qualche mese 39 anni, e da più di 15 rivoluzione e amore guidavano la sua vita. Non c'è ideologia, e ancor meno epica, nella vicenda che Soderbergh non solo ha diretto ma anche personalmente girato e montato. I fatti di quel tempo ormai lontano sono narrati quasi senza "commento emotivo". Tutto inizia un giorno del 1955. In una stanza d'albergo in Messico, Guevara incontra Fidel Castro. Dopo un'intera notte di colloquio, ne riconosce il ruolo di leader rivoluzionario. L'isola caraibica è controllata dagli interessi statunitensi, anche gangsteristici e mafiosi, attraverso la dittatura di Fulgencio Batista, e la popolazione vive in condizioni di miseria estrema. Qualche mese più tardi, il 25 novembre 1956, l'"argentino" si imbarca con 81 compagni (tra loro c'è anche un italiano) sulla nave Granma, che dal Guatemala fa rotta verso Cuba. Sbarcati sull'isola e attaccati dalle truppe di Batista, solo 20 uomini riescono a rifugiarsi sulla Sierra Maestra. Da là iniziano una guerrigliacheil1 gennaio1959porteràal-lacadutadeldittatoreedunqueall'instau-razione di un governo guidato da Castro. Dei 20 uomini sfuggiti a Batista 3 anni prima vivono ancora in 12. Tutto questo racconta Che - L'argentino, ora stando fra le montagne della guerriglia, ora spostandosi in avanti, fino alla metà degli anni 60, quando Guevara tenne un discorso a New York, all'assemblea dell'Onu. Da lì a poco, nel 1965, sarebbe "scomparso" dalla scena pubblica, per ricomparire in Bolivia, nuovamente in armi. Chi sia stato davvero Guevara è questione che il cinema non può risolvere, e forse neppure deve. Quello del film di Soderbergh è piuttosto un tentativo, riuscito, di renderci per così dire presenti alla sua avventura personale e storica. Con lui, quasi come lui, ci muoviamo per la Sierra alla ricerca d'una meta che è tanto necessaria quanto problematica. La sua necessità – usando questo sostantivo con molta prudenza, e senza lasciarsi tentare da alcuna filosofia della storia –, quella necessità, dunque, affonda le proprie ragioni nelle condizioni di Cuba, e più in genere dell'America centrale e meridionale. Le conosce bene il Che, quelle condizioni miserabili, avendo viaggiato a 23 anni da Buenos Aires a Caracas a cavallo della propria Norton 500, in compagnia dell'amico Alberto Granado ( dal diario di quella sua prima avventura nel 2004 Walter Salles trarrà I diari della motocicletta). Nasce allora l'amore che lo fa diventare rivoluzionario, appunto. Insieme con quell'amore, e quasi come l'altra faccia della necessità di ribellarsi, nasce anche la problematicità della sua azione rivoluzionaria. Un primo sentore appunto problematico si avverte nel film quando Guevara si trova a render conto al líder maximo d'una sconfitta subita alla testa del suo gruppo di guerriglieri. Prima che Castro gli parli, il fratello Raoul lo avverte: è bene che tu non gli risponda. Fidel infatti non ama che si cerchi di resistergli e di giustificarsi. Se ne infastidisce, se ne insospettisce. E non c'è amore che tenga, di fronte al dispetto e al sospetto del capo, per quanto rivoluzionari si voglia essere. Un altro sentore dello stesso tipo, poi, s'avverte in quello che Guevara dice a una giornalista, nel 1965. Il capitalismo, sostiene il Che, non funziona perché gli individui non si accontentano di quello che hanno, ma vogliono aggiungere cose a cose, proprietà a proprietà. Dunque, occorre superare l'individualismo,assumendosi la responsabilità di governare in nome di tutta la società. C'è un pericolo, in queste parole certo ispirate all'amore: che quegli stessi che si assumono una tale responsabilità, e che se ne arrogano il diritto, poi non si contentino, e vogliano sommare potere a potere, morti a morti. Attorno a questo pericolo, per quanto tenuto implicito, a noi sembra sia costruito Che - L'argentino: attorno a questo pericolo almeno quanto attorno alla necessità di liberare dalla miseria un continente.
Roberto Escobar (Il Sole 24 Ore)
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