Drammatico di Zhang Yimou con Jay Chou, Gong Li, Dahong Ni, Chow Yun Fatt 111 minuti - Cina, Hong Kong 2006
Zhang Yimou è il regista che nel 1991 fece conoscere in Occidente con Lanterne rosse l'incanto del cinema cinese, e che da allora ha seguito due percorsi differenti: film realisti sulla vita presente delle persone in Cina (La storia di Qiu Ju, Non uno di meno, Vivere!) e film immersi nello splendore del passato, della Storia, delle grandi battaglie. Forse è un errore dire che i film contemporanei sono destinati ai cinesi e che i film leggendari sono destinati agli stranieri: in realtà piacciono a tutti ed è particolarmente il genere guerresco detto «wuxiapian» ad essersi moltiplicato (La foresta dei pugnali volanti, Hero di Zhang Yimou, La tigre e il dragone di Ang Lee), mentre L'ultimo Imperatore di Bernardo Bertolucci, realizzato prima di tutti nel 1987 vent'anni fa, armonizza i due generi con strepitosa bellezza.
Chi ha visto anni fa (1972) la Città Proibita di Pechino, luogo del potere e dell'onore, ricorda saloni e corridoi di terra battuta, un trono modesto, abiti rilucenti ma semplici, La Città Proibita, storia sanguinosa di una famiglia imperiale nel X secolo della tarda dinastia Tang, è un trionfo di bellezza e ricchezza. Eleganza del lusso sfrenato, sfarzo, fasto, le mura parate di broccato rosso, una portantina dorata per far attraversare il palazzo al pigro imperatore, anelli come astucci d'oro per le dita, abiti a molti strati preziosi, capelli ingioiellati, servi pronti a porgere cibi e bevande restando in piedi in attesa degli appetiti imperiali e parallelamente l'antipatia, l'odio, il rancore della famiglia, dominata dall'imperatrice Gong Li la cui autorità femminile è assoluta. Le grandi architetture, che gli addetti rinfrescano andando in giro con un secchiello e un pennello, sono popolate di inservienti e ufficiali corazzati d'oro e d'argento.
Insieme con lo sfarzo, il numero: le danzatrici di Corte diventano centinaia, gli eserciti sono sterminati grazie all'elettronica. Molto bello. Persino troppo. Ma il film affascina coi suoi contrasti (ricchezza e crudeltà, eleganza e morte), come un'avventura vertiginosa.
Lietta Tornabuoni (La Stampa)
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